La spalla, o meglio, “il complesso spalla” (complesso funzionale composto da 5 articolazioni, 26 muscoli motori principali, un sistema caspsulo-legamentoso ed altre strutture connesse), è un sistema che già in partenza soffre di una instabilità anatomo-funzionale, che, però, le garantisce la sua grande e complessa mobilità nei vari piani dello spazio.

Questa caratteristica “innata” della spalla, la espone a varie e complesse patologie, acute e croniche che dovranno essere ben valutate e riabilitate sia conservativamente che chirurgicamente. In questi ultimi anni, il trattamento riabilitativo conservativo e post-chirurgico ha ricevuto un notevole interesse ed impulso, con un conseguente affinamento sia delle tecniche chirurgiche che di quelle prettamente riabilitative e funzionali.

Anche le esigenze dei pazienti (dall’atleta di vario livello professionista o meno, all’adulto, all’anziano) hanno, giustamente, alzato l’asticella dei risultati richiesti al riabilitatore, pertanto non è più tollerabile circoscrivere le patologie di spalla ad una generica ed insignificante “periartrite di spalla”.

Una spalla “sana” sarà assicurata dal corretto allineamento G/O, reso possibile da un buon equilibrio biomeccanico e funzionale tra stabilizzatori passivi ed attivi. Il dolore sarà probabilmente il primo campanellino d’allarme di una carenza degli stabilizzatori passivi ed attivi…il recupero e/o il mantenimento di un buon equilibrio muscolare, oltre alla giusta tensione delle strutture passive, danno all’articolazione un’adeguata stabilità che riduce i rischi d’insorgenza delle patologie muscolo-tendinee, capsulo-legamentose ed osteo-articolari. Quando tali forze non sono ben equilibrate, il protrarsi dei gesti sportivi e delle attività quotidiane e lavorative, può determinare l’insorgere di una patologia di spalla che interessa indistintamente tutte le figure professionali, dalla casalinga alla segretaria, dal soggetto sedentario allo sportivo: nessuno risulta immune dal dolore di questo distretto, quando ci si muove  all’interno di un alterato “equilibrio fisiologico”.

La meccanica della spalla si basa sul perfetto equilibrio tra mobilità e stabilità delle articolazioni che la compongono;  tutto ciò è possibile dall’azione delle sue componenti passive: capsula (anteriore 4mm, posteriore 2mm), pressione intrarticolare e superfici ossee. Tutte queste strutture cooperano nel mantenere stabile il centro di rotazione della testa omerale sulla superficie glenoidea, che di natura è insufficiente ad accogliere la testa dell’omero…causa della naturale instabilità!

Il centro di rotazione G/O ideale è stato rappresentato come una varietà di punti situati entro 6+2 mm rispetto al centro geometrico della testa omerale. Rilevamenti tramite ecografia (sia con movimento attivo che passivo) hanno dimostrato delle traslazioni verticali, espressione delle forze verticali generate tra deltoide e cuffia dei rotatori. Ai fini preventivi e/o curativi, bisogna mantenere o recuperare l’equilibrio delle forze che assicurano un centro di rotazione ideale. Per la componente muscolare bisogna salvaguardare il giusto rapporto tra rotatori interni ed esterni (equilibrio orizzontale) e tra adduttori ed abduttori (equilibrio verticale).

Meccanismi stabilizzatori: equilibrio verticale—-(deltoide-cuffia); equilibrio ant/post—(sottoscapolare-sottospinato); muro anteriore (sottoscapolare-deltoide ant-CLB).

Stabilizzatori attivi secondo lo schema di F.W. Jobe:

  • Muscoli Protettori G/O: sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo, sottoscapolare;
  • Muscoli Pivot della scapola: trapezio, grande dentato, romboidi, piccolo pettorale, elevatore;
  • Muscoli Posizionatori: deltoide, gran dorsale, gran pettorale.

Fisiologia dell’abduzione: il movimento di abduzione rappresenta il risultato di un sinergismo tra i muscoli abduttori (deltoide-sovraspinato) ed i muscoli rotatori (in particolare i rotatori esterni: sottospinato e piccolo rotondo). La forza coattante e depressoria dei muscoli rotatori crea, insieme alla forza elevatoria del deltoide e del sovraspinato, una coppia di forze generatrice dell’abduzione. L’abduzione è classicamente suddivisa in tre tempi, in relazione ai gradi di movimento:

  1. 0°/90°: questo primo momento è favorito dai mm deltoide, sovraspinato e rot esterni;
  2. 90°/150°: il movimento verso l’alto è favorito dai mm pivot scapolari, trapezio e gran dentato, che determinano il ritmo scapolo-toracico;
  3. 150°/180°: in questa ultima fase viene interessato il rachide grazie ad una inclinazione laterale opposta favorita dalla contrazione dei muscoli paravertebrali; se le braccia si abducono contemporaneamente, la colonna si mantiene in asse ma ci sarà una accentuazione della lordosi lombare. In questa fase, quindi, saranno fondamentali la fisiologica ampiezza e l’elasticità delle curve rachidee: dorsi rigidi, lordosi ridotte o bacini retroversi, limiteranno i gradi di movimento…

Gli aspetti legati alla fisiologia dell’abduzione, lasciano ampio spazio ad applicazioni pratiche sia cliniche che rieducative: OSSERVAZIONE, VALUTAZIONE e TRATTAMENTO SPECIFICO!

L’OSSERVAZIONE del movimento ed il momento in cui esso si discosta dai normali schemi, possono costituire un elemento clinico fondamentale per la diagnosi e/o la valutazione: capire a quale muscolo o a quale distretto attribuire il deficit funzionale, indica la strada per il trattamento mirato e maggiormente efficace.

IL TRATTAMENTO SPECIFICO, dopo l’osservazione ed una adeguata valutazione, può essere l’esercizio terapeutico: la somministrazione dell’esercizio in termini sia biomeccanici che quantitativi, diventa una vera e propria “medicina naturale”.

Variabili dell’esercizio:

  • Scelta della “progressione del rinforzo” rispetto allo schema di Jobe;
  • Posizione;
  • Impugnatura;
  • Ampiezza del movimento ROM;
  • Resistenza;
  • Respirazione;
  • Numero di serie, ripetizioni, sedute settimanali;
  • Supporti esterni;
  • CORE STABILITY.

Dott/Ft Lorenzo Rossi                                                                                  Dott/Ft Francesco Inglese

 

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