Cervicalgia e Diaframma
Dott.ssa Francesca Vespasiano
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NON E' SOLO QUELLO CHE FAI, MA CIO' CHE PENSI DI FARE CHE FA LA DIFFERENZA.
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Un regime di allenamento intensivo della durata di 16 settimane ha dimostrato di ridurre sia il dolore che la disabilità percepita, oltre a migliorare gli aspetti psicologici nei pazienti che soffrono di lombalgia cronica.
Questi sono i risultati preliminari di uno studio canadese in pazienti che soffrono di lombalgia e presentati all’ultimo World Congress on Pain che si è tenuto a Boston, in Massachusetts.
I ricercatori hanno reclutato 19 pazienti, principalmente donne (15, di età compresa tra 22 e 70 anni), che soffrivano di lombalgia cronica aspecifica da almeno un anno. Ogni partecipante è stato sottoposto a una valutazione fisica completa e a risonanza magnetica, quindi ha completato un programma di allenamento di 16 settimane che comprendeva una combinazione di esercizi cardiovascolare e di forza.
Il programma di allenamento si svolgeva tre volte a settimana con sessioni della durata di un’ora. Tutte le sessioni sono state eseguite individualmente, in presenza di un kinesiologo che ha monitorato il progresso fisico dei pazienti. Ogni partecipante ha anche completato il Beck Depression Inventory, uno strumento di autovalutazione che consente di misurare la gravità della depressione, la Pain Catastrophizing Scale, la Tampa Scale for Kinesiophobia e l’Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire, sia all’inizio che alla fine del programma.
RISULTATI
Una volta completate le 16 settimane del programma di allenamento, i punteggi medi del dolore lombare sono diminuiti in misura significativa (p=0,01), così come l’Oswestry Disability Index (p=0,06) e i punteggi di kinesiofobia (p=0,04).
La Tampa Scale for Kinesiophobia è un parametro di valutazione internazionale per misurare il grado di kinesiofobia, ossia la paura cronica del movimento, una persistente e costante preoccupazione del tutto ingiustificata nel dover compiere movimenti per paura di procurarsi dolore o danni. Comporta maggiore disabilità, maggiore percezione del dolore fisico, incremento dei sintomi depressivi correlati a pensieri nefasti, diminuzione dell’autosufficienza e limitazione nei movimenti.
L’analisi preliminare ha anche rivelato miglioramenti nei punteggi della Pain Catastrophizing Scale che misura la “catastrofizzazione del dolore”, ovvero la tendenza ad amplificare il timore di uno stimolo doloroso e la paura di sentirsi impotenti in presenza di dolore, oltre che da una relativa incapacità di prevenire o inibire i pensieri legati al dolore prima, durante o dopo un evento doloroso.
Successivamente volevano vedere se, l’iniziale percezione catastrofica del dolore o la disabilità percepita, erano in grado di predire il grado di cambiamento dopo l’esercizio fisico.
Dopo aver controllato gli effetti dell’esercizio fisico sui punteggi di catastrofizzazione del dolore, gli effetti dell’attività fisica sul dolore perdevano di significatività (p=0,357). Secondo gli autori questi risultati suggeriscono che gli effetti dell’attività fisica potrebbero essere almeno in parte mediati dai cambiamenti nella percezione catastrofica del dolore.
Quindi, quanto più è elevata la catastrofizzazione del dolore iniziale, tanto maggiore è il cambiamento nella loro disabilità percepita e quanto maggiore è la loro disabilità percepita, tanto più grande sarà l’impatto dell’allenamento fisico. Questo risultato sembra andare di pari passo con la teoria della vulnerabilità secondo la quale più un paziente è vulnerabile, maggiori saranno i cambiamenti che otterrà.
CONCLUSIONE
La parte più incoraggiante dello studio è stata vedere come è migliorata la qualità di vita dei partecipanti.
«Si rendono conto della vita sedentaria che avevano condotto finora e a quali limitazioni fossero costretti. Poi, dopo il programma, si rendono conto che il dolore è solo una parte della loro vita e che non deve necessariamente limitarli» afferma Anna Bendas della McGill University a Montreal (Canada).
Dott.ssa Francesca Vespasiano
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📑 In una recente review di Hegberg et al., EXERCISE INTERVENTION IN PTSD: A NARRATIVE REVIEW AND RATIONALE FOR IMPLEMENTATION, pubblicata su Frontiers in Psychiatry nel 2019, sono stati messi a confronto una serie di articoli che si occupavano della correlazione tra uso di esercizi prettamente aerobici e livello di PTSD su soggetti affetti da Disturbo Post Traumatico da Stress.
🤔 A seguito di un’evidente associazione tra svolgimento di attività aerobiche e diminuzione dei sintomi di PTSD, gli autori invitarono all’esecuzione di un’ulteriore ricerca, attraverso studi di tipo RCT (randomizzati controllati), al fine di valutare una possibile causalità tra i due eventi.
☝🏻 Questo articolo ha il pregio di strutturare in modo puntuale una serie di ipotesi a riguardo dei meccanismi d’azione dell’esercizio fisico in termini di benefici sul PTSD. In particolare, gli autori citarono:
1) desensibilizzazione ed esposizione: è possibile che esporre il proprio corpo a esercizi di natura aerobica anche vigorosa, stimolando una condizione di iperarousal, predisponga il soggetto a interpretare quella stessa alterazione fisiologica come non-patologica in contesti di non-esercizio. Per esempio, nel caso di una forte tachicardia ottenuta per via di un esercizio vigoroso, quella stessa tachicardia sarebbe stata idealmente interpretata in seguito come meno pericolosa anche nella vita “reale”;
2) cognitive impairment: gli autori notarono come non esistessero studi che mettessero in correlazione esercizio fisico e migliori performance cognitive in soggetti colpiti da PTSD. Tuttavia, una robusta quantità di studi inerenti il miglioramento di alcune funzioni cognitive nell’anziano (in particolare funzioni esecutive e memoria episodica) lasciava supporre che gli stessi miglioramenti sarebbero stati riscontrati nei soggetti colpiti da PTSD, anche in età più giovanile (laddove nel PTSD erano quelle stesse funzioni cognitive a essere maggiormente compromesse: memoria episodica e funzioni esecutive);
3) impatto anatomico e alterazione delle strutture cerebrali: anche in questo caso, gli autori evidenziarono come non esistessero al momento della pubblicazione studi che osservassero la morfologia (variata o meno) di zone specifiche del cervello a seguito di un periodo trascorso effettuando allenamenti specifici; tuttavia, notarono come molti studi evidenziassero un impatto positivo dell’esercizio aerobico che sollecita la componente cardio-respiratoria sulla morfologia di molte zone cerebrali in pazienti anziani – le stesse zone osservate alterate a seguito dello sviluppo di PTSD.
🧠 Gli studi a riguardo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) in soggetti sani, dimostrano come l’attività fisica tenda a regolarizzarne il funzionamento: gli autori dell’articolo proposero che un simile effetto benefico, potesse giovare sul funzionamento di quest’asse anche in soggetti colpiti da PTSD. In questa popolazione infatti, si era osservato come lo stress post-traumatico “toccasse” il circuito HPA in risposta allo stress post-traumatico per via di un’alterazione del suo meccanismo di feedback; anche se gli studi sull’asse HPA in correlazione al PTSD sembravano troppo poco numerosi per fornire dati sicuri da cui trarre conclusioni.
💥 Infine, gli autori osservarono come molteplici evidenze in letteratura si riferissero alla correlazione esistente tra alterazioni del sistema immunitario e la presenza di stress prolungato, in particolare in relazione al concetto di infiammazione; in letteratura infatti è presente una letteratura ampia a proposito degli effetti de-infiammatori dell’attività fisica, con ricadute benefiche su vari aspetti della vita dell’individuo tra cui la qualità del sonno. Gli autori notarono come il sonno sia da ritenersi primariamente coinvolto nella risoluzione di un PTSD, dato che nel corso del suo svolgimento vengono svolte importanti operazioni di elaborazione del dato mnestico (cognitivizzazione) (Pagani et al., 2017).
🤝 In conclusione, non c’è intervento isolato che possa portare alla risoluzione del problema, colui che si occupa di rieducazione motoria, specializzato nel trattamento del PTSD, è opportuno abbia una collaborazione con psicoterapeuta ed eventuale psichiatra in modo tale da formare un’equipe iper-specialistica che sappia intervenire sul Disturbo Post Traumatico da Stress da direzioni differenti, in parallelo.
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I crampi alle gambe sono caratterizzati da contrazioni muscolari improvvise, invalidanti ed involontarie che si verificano comunemente durante o dopo un’intensa attività fisica. I crampi colpiscono principalmente i muscoli del polpaccio, ma possono coinvolgere anche i muscoli posteriori della coscia od i muscoli della pianta del piede, anche di notte (crampi notturni delle gambe).
I crampi notturni si verificano principalmente durante il sonno e vengono solitamente percepiti come contrazioni muscolari unilaterali, dolorose, involontarie ed improvvise, spesso localizzate in una zona ben distinta. In maniera minore, i crampi alle gambe possono anche verificarsi durante il giorno, nei periodi di riposo e relax.
Cosa sono i crampi muscolari
I crampi muscolari sono spasmi molto forti e sostenuti, che spesso causano un indurimento visibile e palpabile del muscolo interessato.
I crampi muscolari sono estremamente comuni, tanto che quasi tutti almeno una volta nella vita hanno sperimentato un episodio di crampo. I crampi muscolari sono più comuni negli adulti e diventano sempre più frequenti con l’invecchiamento: tuttavia, anche i bambini possono avvertire in alcune situazioni i crampi muscolari. L’incidenza è più alta nelle donne e negli adulti più anziani: infatti, i crampi muscolari colpiscono circa il 33% delle persone di età superiore ai 60 anni e circa il 50% delle persone di età superiore agli 80 anni.
Fattori di rischio e cause
I fattori che potrebbero aumentare il rischio di soffrire di crampi muscolari sono:
Le cause che possono scatenare un crampo muscolare sono:
Prevenire i crampi alle gambe
L’allenamento terapeutico e il movimento possono essere un utile alleato per prevenire l’insorgenza di crampi.
Stretching per i crampi
Per risolvere un crampo nella parte posteriore della coscia, provare questi due tipi di allungamento: in piedi, appoggiando le mani a muro, mettere il peso sulla gamba interessa, piegare leggermente il ginocchio, allungare il corpo in avanti e sentire la muscolatura posteriore che tira, oppure sdraiato a terra, allungare la gamba interessata verso l’alto e tirare la punta del piede verso di noi e sentire la muscolatura posteriore che tira. Oppure da sdraitati a terra compiere la stesso movimento con l’aiuto delle braccia.
Per risolvere un crampo nella parte anteriore della coscia (quadricipiti), bisogna appoggiarsi con una mano ad una sedia od il muro per stabilizzarsi, e con l’altra mano portare il piede della gamba interessata indietro in direzione del gluteo.
Per risolvere, invece, un crampo al polpaccio, bisogna stendersi a terra e farsi aiutare da qualcuno a tirare la punta del piede della gamba interessata verso di te. Se invece dovessimo essere soli, si potrebbe procedere in questo modo:
Per saperne di più leggi l’articolo completo :
https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/crampi-alle-gambe-perch-e-cosa-fare/
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UN ULTERIORE PASSO VERSO IL CAMBIAMENTO
🔙 Rispetto alle precedenti linee guida dell’American Cancer Society (ACS), in merito ad attività fisica e alimentazione, quelle dell’Edizione 2020 prevedono un raddoppio dell’attività fisica consigliata.
✍🏻 Le linee guida aggiornate pongono l’accento su un maggior esercizio fisico: il documento dell’ACS esorta gli adulti a fare tra i 150 e i 300 minuti di attività fisica di moderata intensità o tra i 75 e i 150 minuti di attività fisica intensa a settimana; mentre le precedenti linee guida consigliavano fino a 150 minuti di attività fisica moderata o fino a 75 minuti di attività fisica intensa a settimana.
🍏 Per quanto riguarda l’alimentazione, l’invito è a consumare cibi integrali e non elaborati, cereali non raffinati, frutta fresca, verdura e ad astenersi dal alcol.
Le nuove raccomandazioni dell’ACS si basano su precedenti revisioni sistematiche condotte dagli U.S. Departments of Agriculture and Health and Human Services, l’International Agency on Cancer Research e il World Cancer Research Fund/American Institute for Cancer Research.
Come mai questa scelta?
💯 Il doppio del tempo da dedicare all’attività fisica ha favorevolmente colpito la comunità scientifica USA in chiave di prevenzione oncologica.
💬 <<Quando si tratta di attività fisica per prevenire il cancro, più se ne fa meglio è >>, osserva Keith Diaz, assistente professore di medicina comportamentale presso il Columbia University Medical Center di New York, non coinvolta nelle linee guida. << Una maggiore attività fisica, come 250-300 minuti a settimana, può rivelarsi essere particolarmente utile per la prevenzione del cancro perché facilita la perdita di peso>>.
💁🏻♀️ “Bisognerebbe prendersi cura della salute come si prende cura del divertimento, allora non si sarebbe mai malati”.
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METTI DA PARTE LA DEPRESSIONE
📖 Ti racconto una storia, tempo di lettura 50 secondi…
<< Matthew Johnstone, famoso scrittore ed illustratore, l’11 Settembre 2001 assistette in diretta al crollo delle Torri Gemelle. Stava vivendo un periodo buio della sua vita, questo episodio è stato forse il punto di svolta.
Nato in Australia, crescendo, aveva vissuto l’esperienza della depressione della madre, tanto che questo portò sia lui che il fratello a soffrirne.
Nonostante i successi lavorativi, l’ombra della depressione continuava ad accompagnarlo.
Il 12 Settembre 2001 si svegliò nel suo appartamento di New York con la sensazione di “essere bloccato”. La sua vita era come una strada senza uscita, si accorse che stava sopravvivendo, non vivendo.
Recitava una parte in un lavoro che non gli apparteneva veramente, costringendosi a nascondere il suo malessere per apparire in pubblico forte e vincente.
Le immagini del crollo delle due Torri e delle persone che si gettavano dalle finestre pur di non ardere vive gli hanno fatto cambiare prospettiva sul mondo e sulla sua vita. Così un sabato – sei mesi dopo – arrivato nel suo ufficio, in un solo pomeriggio, scrisse il suo libro “Avevo un Cane Nero” personificando nell’animale la sua depressione.
Oltre ad essere un illustratore, adesso, Matthew Johnstone è diventato divulgatore in tema di salute mentale e di mindfulness – la tecnica che lo ha aiutato a lasciare andare il suo Cane Nero.
Attualmente è il direttore creativo del Black Dog Institute, una clinica di Sydney fondata da uno psichiatra, impegnata nella ricerca sulla prevenzione, intervento precoce e il trattamento della depressione e disturbo bipolare. >>
🔬 I ricercatori, coordinati dal Black Dog Institute, hanno condotto uno studio sui benefici dell’esercizio fisico nella prevenzione della depressione in oltre 30mila soggetti, nell’arco di undici anni.
🙍🏻♂️Dallo studio, pubblicato dall’American Journal of Psichiatry, è emerso che: le persone che hanno dichiarato di non fare nessun tipo di esercizio fisico, avevano un rischio maggiore del 44% di sviluppare depressione, rispetto a quelle che lo praticavano almeno un’ora a settimana.
🕰 Il professor Samuel Harvey, che ha guidato la ricerca, in un’intervista ha detto «Siamo a conoscenza che l’esercizio fisico svolge un ruolo attivo nel trattamento dei sintomi della depressione, ma per la prima volta con questo studio si è giunti a quantificare il potenziale che ha l’esercizio fisico nel ridurre l’insorgere dei sintomi. Sono risultati importanti che ci mostrano come questo, anche se minimo – a cominciare da un’ora alla settimana – può svolgere una funzione protettiva contro la depressione».
💪🏻 Ad oggi, un italiano su dodici soffre di depressione. Non è semplice stravolgere il proprio stile di vita da un giorno all’altro, ma con piccoli cambiamenti si possono produrre significativi benefici nella salute mentale.
🚫 DEDICA ALMENO UN’ORA A TE, ALLONTANA IL CANE NERO! 🐺
Dott.ssa Francesca Vespasiano
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