Tecarterapia : applicazioni e i suoi benefici

Tecarterapia : applicazioni e i suoi benefici

Tecarterapia è l’acronimo di Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo, che indica il modo in cui questo dispositivo possa portare uno stimolo biologico ai tessuti.

L’incredibile successo di questo dispositivo lo ha reso in pochi anni dalla sua uscita in commercio, il mezzo fisico maggiormente:

  • più prescritto dai medici di base, dagli ortopedici e dai fisiatri;
  • più ricercato dai pazienti sui motori di ricerca;
  • più diffuso in Italia;
  • più utilizzato dai fisioterapisti!

 

Come funziona

Applicando il principio fisico del condensatore, la Tecarterapia induce all’interno dei tessuti un movimento alterno di attrazione e repulsione delle cariche elettriche degli ioni presenti nei tessuti corporei.

In tal modo la tecarterapia trasferisce energia ai tessuti senza alcuna somministrazione di energia radiante dall’esterno.

Queste “correnti di spostamento” inducono 3 effetti: chimico, meccanico e termico.

Ciò che avviene durante una seduta è che dell’energia viene trasferita ai tessuti mediante due sistemi differenti:

  • Sistema capacitivo
  • Sistema resistivo

Il fisioterapista può infatti utilizzare la tecarterapia in due modalità differenti per trasferire energia focalizzando l’energia su tessuti differenti in funzione di dove è localizzata la patologia:

  1. modalità capacitiva, rilascia più energia nei primi strati sotto l’elettrodo, efficacie sui tessuti molli e superficiali (muscoli, sistema vascolare e linfatico, etc.)
  2. modalità resistiva, rilascia più energia nei tessuti ad alta impedenza (cioè, che lasciano passare minor energia), per questo è utilizzata per applicazioni sui tessuti ossei, cartilaginei, tendinei, aponeurotici.

Nella pratica clinica, infatti, il fisioterapista attua un mix tra capacitivo e resistivo per trattare tutti i tessuti che possono essere implicati nel processo patologico.

 

Benefici

La vibrazione indotta dalla tecarterapia nel tessuto ha diversi effetti a livello biologico e cellulare. È possibile, infatti, riconoscere alla tecarterapia un effetto biostimolante, utile sia nei processi degenerativi che nei processi traumatici, un effetto drenante, utile oltre che nelle patologie estetiche anche in quelle infiammatorie, un incremento della temperatura che può essere utile a rilassare la muscolatura e infine un effetto antidolorifico che è il risultato dei precedenti.

I benefici e i meccanismi fisiologici della Tecarterapia sono molteplici:

  • Miglioramento dell’afflusso arterioso con incremento dell’apporto di sostanze nutritizie ed ossigeno (riduzione delle tensioni muscolari)
  • Miglioramento del deflusso venoso linfatico con più efficiente espulsione di tossine e cataboliti (riduzione dell’infiammazione)
  • Miglioramento dell’equilibrio di membrana di tutte le cellule presenti nell’area trattata Aumento del metabolismo
  • Potenziamento e sinergia con principi attivi che si vogliono veicolare come trattamenti topici

 

L’applicazione di tecarterapia può avvenire in diversi modi:

  • Applicazione base
  • Applicazione integrata con la massoterapia
  • Applicazione integrata con la terapia manuale
  • Applicazione integrata con l’esercizio terapeutico

Dipende, quindi, dalla preparazione specifica dell’operatore sanitario l’uso e le applicazioni maggiormente efficaci per la patologia per la quale usa la macchina; quella in questione ed in uso presso il Centro Diversamente Benessere è la Fisiowarm 7.0 (GoldenStar), macchina di ultimissima generazione ampiamente predisposta, con una vasta gamma di elettrodi, ad un uso vario ed efficace.

L’efficacia “finale” di un dispositivo tecnologico dipenderà sempre dall’operatore: è lui che stabilirà all’interno di un Percorso Terapeutico il campo di applicazione ed il “modo” di fare o non fare…TecarTerapia!

 

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Trattamento Caso Clinico di Micaela

Trattamento Caso Clinico di Micaela

Paziente donna Micaela di P. di anni 25, impiegata, scarsa attività fisica.

 

Da circa 5 anni soffre di mal di testa (senza una diagnosi precisa), con frequenza ¾ attacchi al mese, durata 2gg in media;  familiarità positiva (mamma, e due zii).

Riferisce peggioramento nell’ultimo anno. Trattamento esclusivamente farmacologico, spesso abusandone e complicandone la sintomatologia.

 La paziente riferisce di essere sensibile agli odori, alla luce, alla confusione; spesso nausea, vomito e sindrome vertiginosa, situazioni estremamente condizionanti e limitanti la sua vita sociale.

Alla valutazione iniziale appaiono limitati alcuni movimenti fisiologici come le rotazioni e l’estensione cervicale; vari muscoli del collo e della zona cervico-dorsale sono molto contratti e soprattutto alla palpazione ed al trattamento riproducono chiaramente I sintomi dolorosi, “accendendo” le aree specifiche del suo mal di testa (unilaterale a destra da esordio posteriore sulla cervicale). A livello articolare il tratto cervicale C2/C4, alla mobilizzazione si mostra rigida e causativa del dolore noto.

 Caratteristiche fenotipiche riscontrate: cefalea cervicale miofasciale con tratti anche di tipo cervicogenica.

 Alla paziente sono stati spiegati I meccanismi e la biologia del dolore secondo le recenti evidenze scientifiche, il comportamento della soglia di percezione e modulazione del dolore rispetto alle modificazione dei tessuti (pelle, muscoli ed ossa cervicali), che si andavano a trattare.

Sono state usate tecniche miofasciali di manipolazione dei tessuti molli (muscoli e fasce), e tecniche articolari sulle articolazioni intervetebrali cervicali e dorsali alte con varie intensità, rispettando la soglia di caricabiltà dei tessuti stessi.

 Sono state usate anche tecniche di rilassamento e di mindfullness. Parallelamente la paziente ha ripreso anche attività aerobica secondo dei parametri precisi di allenamento, così come ha seguito degli esercizi domiciliari specifici per il tratto cervico-dorsale.

Nelle ultime due sedute in studio sono stati eseguiti esercizi visuo-spaziali per il controllo fine della muscolatura flessoria ed estensioria cervicale.

 Il percorso terapeutico è stato svolto in cinque sedute: sono previste delle rivalutazioni a 4 mesi, mentre la paziente continuerà con gli esercizi e l’attività aerobica.

Il successo e la soddisfazione del trattamento stesso lo dichiarerà lei stessa!

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Il Dolore come parte di vita non limitante

Il Dolore come parte di vita non limitante

Un regime di allenamento intensivo della durata di 16 settimane ha dimostrato di ridurre sia il dolore che la disabilità percepita, oltre a migliorare gli aspetti psicologici nei pazienti che soffrono di lombalgia cronica.

 Questi sono i risultati preliminari di uno studio canadese in pazienti che soffrono di lombalgia e presentati all’ultimo World Congress on Pain che si è tenuto a Boston, in Massachusetts.

 I ricercatori hanno reclutato 19 pazienti, principalmente donne (15, di età compresa tra 22 e 70 anni), che soffrivano di lombalgia cronica aspecifica da almeno un anno. Ogni partecipante è stato sottoposto a una valutazione fisica completa e a risonanza magnetica, quindi ha completato un programma di allenamento di 16 settimane che comprendeva una combinazione di esercizi cardiovascolare e di forza.

 Il programma di allenamento si svolgeva tre volte a settimana con sessioni della durata di un’ora. Tutte le sessioni sono state eseguite individualmente, in presenza di un kinesiologo che ha monitorato il progresso fisico dei pazienti. Ogni partecipante ha anche completato il Beck Depression Inventory, uno strumento di autovalutazione che consente di misurare la gravità della depressione, la Pain Catastrophizing Scale, la Tampa Scale for Kinesiophobia e l’Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire, sia all’inizio che alla fine del programma.

 

RISULTATI

 Una volta completate le 16 settimane del programma di allenamento, i punteggi medi del dolore lombare sono diminuiti in misura significativa (p=0,01), così come l’Oswestry Disability Index (p=0,06) e i punteggi di kinesiofobia (p=0,04).

 La Tampa Scale for Kinesiophobia è un parametro di valutazione internazionale per misurare il grado di kinesiofobia, ossia la paura cronica del movimento, una persistente e costante preoccupazione del tutto ingiustificata nel dover compiere movimenti per paura di procurarsi dolore o danni. Comporta maggiore disabilità, maggiore percezione del dolore fisico, incremento dei sintomi depressivi correlati a pensieri nefasti, diminuzione dell’autosufficienza e limitazione nei movimenti.

 L’analisi preliminare ha anche rivelato miglioramenti nei punteggi della Pain Catastrophizing Scale che misura la “catastrofizzazione del dolore”, ovvero la tendenza ad amplificare il timore di uno stimolo doloroso e la paura di sentirsi impotenti in presenza di dolore, oltre che da una relativa incapacità di prevenire o inibire i pensieri legati al dolore prima, durante o dopo un evento doloroso.

 Successivamente volevano vedere se, l’iniziale percezione catastrofica del dolore o la disabilità percepita, erano in grado di predire il grado di cambiamento dopo l’esercizio fisico.

Dopo aver controllato gli effetti dell’esercizio fisico sui punteggi di catastrofizzazione del dolore, gli effetti dell’attività fisica sul dolore perdevano di significatività (p=0,357). Secondo gli autori questi risultati suggeriscono che gli effetti dell’attività fisica potrebbero essere almeno in parte mediati dai cambiamenti nella percezione catastrofica del dolore.

 Quindi, quanto più è elevata la catastrofizzazione del dolore iniziale, tanto maggiore è il cambiamento nella loro disabilità percepita e quanto maggiore è la loro disabilità percepita, tanto più grande sarà l’impatto dell’allenamento fisico. Questo risultato sembra andare di pari passo con la teoria della vulnerabilità secondo la quale più un paziente è vulnerabile, maggiori saranno i cambiamenti che otterrà.

 

CONCLUSIONE

 La parte più incoraggiante dello studio è stata vedere come è migliorata la qualità di vita dei partecipanti.

«Si rendono conto della vita sedentaria che avevano condotto finora e a quali limitazioni fossero costretti. Poi, dopo il programma, si rendono conto che il dolore è solo una parte della loro vita e che non deve necessariamente limitarli» afferma Anna Bendas della McGill University a Montreal (Canada).

Dott.ssa Francesca Vespasiano

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Mal di Testa da Abuso di Farmaci

Mal di Testa da Abuso di Farmaci

 

Molto spesso per curare o semplicemente alleviare un mal di testa persistente assumiamo vari tipi di farmaci.

 Il Mal di Testa da sovrauso di medicinali è una forma di cefalea secondaria che consegue a un uso eccessivo e spesso errato di medicinali o farmaci, antidolorifici o antinfiammatori, per la gestione dell’emicrania o della cefalea di tipo tensivo.

 Rappresenta la terza forma di cefalea più prevalente al mondo, dopo la cefalea di tipo tensivo e l’emicrania.

Le persone che usano questi medicinali per più di 2-3 volte alla settimana per più di 10 giorni al mese (in caso di farmaci specifici) o per più di 15 giorni al mese (nel caso di farmaci antidolorifici o antinfiammatori da banco) instaurano un circolo vizioso che determina questa condizione clinica.

Questa forma di cefalea colpisce soprattutto le persone con emicrania e rappresenta una delle cause principali che determinano il passaggio dall’emicrania di tipo episodico (che dunque ha periodi di remissione) all’emicrania cronica o persistente dove gli attacchi diventano quasi quotidiani.

 I farmaci associati che possono favorire tale sviluppo sono principalmente quelli a base di caffeina, la codeina, il paracetamolo, i triptani e gli ergotaminici.

 

Sintomi e disordini associati                                                                                                                            

Risulta di vitale importanza avere una valutazione accurata e precisa della causa del problema, seguita da opportuni trattamenti per migliorare le risposte del sistema nervoso e ridurre la frequenza e disabilità del mal di testa.

Le principali comorbidità sono:

– disturbi del sonno;

– ansia e depressione;

– disfunzioni gastrointenstinali e disturbi o deficit alimentari;

– dolori cervicali e temporo-mandibolari.

 

Alimentazione                                                                                                                                          

L’alimentazione ha un ruolo importante in coloro che soffrono di emicrania ed è un fattore che va sempre valutato prima ancora della prescrizione farmacologica. 

La prescrizione di diete specifiche col medico specialista esperto in cefalee e/o col nutrizionista è stato dimostrato rappresentare un approccio utile e fondamentale per chi soffre di emicrania.

Le diete low-fat, cioè programmi alimentari a basso contenuto di grassi, normoproteici e a base di fibre, le diete vegane e le diete basate sull’ eliminazione di cibi “irritativi”, sono in grado di ridurre l’uso di farmaci e la frequenza, l’intensità, la durata degli attacchi di emicrania.

I sintomi dell’emicrania sono conseguenti ad alterazioni infiammatorie neurovascolari di che coinvolgono particolari circuiti neurali. In una persona con emicrania, tutto ciò che può irritare e favorire un processo infiammatorio è dannoso. 

La carne, i derivati animali e altri alimenti industriali sono ricchi di proprietà infiammatorie e dunque la loro riduzione o eliminazione può essere benefica. Anche la perdita di peso ha benefici dimostrati.

 

 Rachide cervicale come origine del problema                                                                                              

I disordini e dolori cervicali sono spesso associati all’emicrania. È stato osservato che il 70-90% delle persone con emicrania presenti rispettivamente problemi mandibolari e cervicali prima, durante o dopo gli attacchi che vengono però ignorati o considerati solo come sintomo dell’emicrania stessa.

Il sistema nervoso di una persona con emicrania, già per natura più sensibile, può divenire ipersensibile ed ipereccitabile a causa di problemi cervicali.

I sintomi dell’emicrania sono la risposta di allarme e protezione del tuo cervello. Sono la sirena di emergenza che si accende perché qualcosa non funziona più in modo ottimale ed un incendio si è acceso.

E la causa di questo incendio può essere un problema del rachide cervicale!

Inoltre, i disordini cervicali possono produrre e riferire dolori e altri sintomi sulla testa, simulando delle vere e proprie emicranie o cefalee di tipo tensivo che possono essere mal diagnosticate.

Per questo motivo ogni persona che soffre di emicrania ha il diritto e deve ricevere un’accurata valutazione del rachide cervicale soprattutto quando lamenta dolori e rigidità del collo prima, durante o dopo gli attacchi di cefalea.

Conclusioni

Il Mal di Testa da abuso di medicinali colpisce le persone con emicrania che presenta appunto numerose comorbidità o disordini associati.

 Una volta risolto il problema dell’assuefazione e intossicazione da medicinali, queste comorbidità vanno indagate al fine di individuare i fattori co-causativi determinanti perché su questi si deve intervenire con valutazioni multidisciplinari e opportuni trattamenti fisioterapici specifici atti a migliorare realmente le risposte del sistema nervoso e ridurre la frequenza e disabilità del mal di testa.

 

 

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.clinicadelmalditesta.it/cefalea-sovrauso-medicinali/ 

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Lombosciatalgia : cause e rimedi

Lombosciatalgia : cause e rimedi

Quante volte ci è capitato di avvertire un forte dolore che si irradia dalla zona lombare fino al gluteo?

Spesso viene scambiato per lombalgia in realtà è lombosciatalgia comunemente conosciuta come sciatica, una patologia che colpisce l’apparato muscolo-scheletrico e origina da un’infiammazione del nervo sciatico.

Cos’è la lombosciatalgia

La lombosciatalgia è un’infiammazione dovuta alla compressione del nervo sciatico, da qui il termine sciatalgia, e il dolore può estendersi dalla zona dei lombi, ai glutei, alla coscia fino al piede.

Il nervo sciatico è il nervo più lungo e con calibro più grande del nostro corpo, si estende dalla schiena agli arti inferiori lungo un asse postero-laterale.

Il nervo sciatico è importante in quanto garantisce la sensibilità e la trazione della parte posteriore della coscia.

Cause

La lombosciatalgia è una forma di mal di schiena molto diffusa in particolare tra chi fa lavori pesanti.

Le cause di questa infiammazione possono essere diverse, alcune più legate a problemi anatomici come:

  • ernia del disco;
  • sindrome del piriforme sottovalutata;
  • problemi viscerali;
  • stenosi del canale spinale;
  • alterazioni muscolo-scheletriche;

altre cause sono solo conseguenze:

  • posture scorrette,
  • sedentarietà,
  • posizione eretta prolungata,
  • stress,
  • gravidanza,
  • mancanza di attività fisica.

Quest’ultimo punto sembra essere il più rilevante in quanto muscoli troppo deboli o contratti lavorano male con la conseguenza dell’irritazione della schiena e della sciatica.

Sintomatologia

Nel caso della lombosciatica, si avverte un dolore che colpisce lateralmente, irradiandosi dalla parte bassa della schiena ai glutei e dalla parte posteriore della gamba al piede.

Il dolore sperimentato è accompagnato da:

  • intorpidimento generale e debolezza,
  • sensazioni di scosse elettriche o ustioni,
  • riflessi ritardati,
  • ridotta sensibilità agli arti inferiori.

Questo può manifestarsi improvvisamente o gradualmente ed essere persistente o intermittente; può inoltre durare poco o per lunghi periodi, diventando cronico.

 

Nella fase acuta (i primi 2/3 giorni) questa infiammazione costringe il paziente ad evitare qualsiasi movimento dovuto al dolore intenso, che impedisce anche di camminare.

Nella forma cronica, la lombosciatalgia rallenta in modo significativo i movimenti, modificando anche la postura, a volte impedendo alcune azioni molto semplici come alzarsi e sedersi, rendendoli difficili da eseguire e molto dolorosi per la regione lombare della schiena.

Trattamento

Se non esistono o insorgono particolari complicazioni il problema della lombosciatalgia può essere affrontato e risolto con la fisioterapia.

Nella fase acuta che prevede riposo assoluto e immobilità si possono utilizzare tecniche di terapia manuale, nonché avvalersi di terapia farmacologica; nella fase cronica invece si possono eseguire esercizi di rieducazione funzionale articolare per ristabilire la giusta mobilità e postura.

I trattamenti riguardano:

  • esercizi attivi e passivi che hanno come obiettivo la mobilizzazione del nervo sciatico e che comprendono esercizi di scivolamento, trazione laterale ed estensione;
  • terapie con mezzi fisici che verranno stabiliti dal fisioterapista in relazione alla sintomatologia specifica;
  • osteopatia.

 

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/lombosciatalgia-cause-e-rimedi/

 

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Spalla e le sue patologie: sindrome da conflitto, frattura e instabilità.

Spalla e le sue patologie: sindrome da conflitto, frattura e instabilità.

Dolori nell’alzare le braccia? Fitte improvvise agli arti superiori? Non fatevi mettere con le spalle al muro dalle vostre stesse spalle! Occorre intervenire quanto prima, anzi subito, per non causare lesioni o, peggio, sviluppare la rigidità di questa parte del nostro corpo così importante per l’articolazione dei movimenti.

Le ossa che compongo la spalla sono la clavicola, l’omero e la scapola, mentre i principali muscoli possono venire divisi in tre gruppi: posizionatori dell’omero, motori della scapola e protettori (cuffia dei rotatori). Sono proprio questi ultimi i responsabili dei movimenti della rotazione e spesso vengono interessati nelle varie patologie della spalla. Sono proprio questi ultimi i responsabili dei movimenti della rotazione e spesso vengono interessati nelle varie patologie della spalla.

Una delle patologie delle spalle più diffuse è senz’altro la sindrome da conflitto subacromiale, o impingement syndrome, che altro non è se non l’eccessivo sfregamento dell’omero contro quella specie di cuscinetto che ha la funzione di ridurne l’attrito con i tendini dei muscoli interessati, chiamato arco dell’acromion. A causa della forma dell’acromion, piuttosto che per squilibri muscolari o escrescenze ossee articolari, di fatto i tendini entrano in sofferenza, causando forti dolori durante l’elevazione del braccio.

Il trattamento conservativo (ovvero non chirurgico) viene prescritto nella maggior parte dei casi ed è perciò compito del fisioterapista ripristinare la corretta mobilità e la forza  dell’arto e prevenire eventuali recidive, ovviamente nei limiti concessi dal quadro diagnostico. 

Tuttavia, quando il dolore diventa eccessivo ed il paziente non riesce più a svolgere le attività di vita quotidiana o lavorative, allora viene indicato il trattamento chirurgico, che sarà specifico per la causa scatenante il conflitto. Le tecniche chirurgiche attuali permettono di svolgere l’intervento con un’invasività minima, tempi di degenza molto ridotti e spesso in day-hospital.

Con il passare del tempo, la sindrome da conflitto subacromiale, o impingement syndrome, può degenerare, causando una lesione o addirittura la rottura dei muscoli della cuffia dei rotatori

Spesso il dolore percepito nelle forme traumatiche è di tipo improvviso e può presentarsi anche di notte. Inoltre, il paziente può manifestare un vero e proprio deficit funzionale nell’elevare lateralmente il braccio.

Se avete questi sintomi, allora potrebbe essere il vostro caso e, svolte le indagini strumentali per la diagnosi specifica di questa problematica, la scelta del trattamento, tra quello conservativo e quello chirurgico, sarà legata ai fattori dell’età, delle attività svolte, del grado di lesione e del tipo di dolore percepito dal paziente.

In caso di trattamento chirurgico, l’intervento prevede la sutura del tendine lesionato, anche in questo caso con tecniche mini-invasive quali l’artroscopia. 

A seguito dell’intervento è di fondamentale importanza la riabilitazione fisioterapica per poter riacquistare la mobilità persa ed in seguito anche la forza. In linea di massima, in un soggetto adulto il tempo di ripresa delle attività di vita quotidiana in autonomia e senza dolore si aggira intorno alle 16-20 settimane, mentre per uno sportivo le settimane necessarie salgono a circa 24, a causa della maggiore richiesta funzionale.

Anche l’instabilità della spalla è una problematica molto comune, causata dalla testa dell’omero che effettua movimenti eccessivi all’interno della sua cavità articolare. Questi movimenti “superflui” non sono naturali, e con il passare del tempo portano ad una compromissione delle strutture articolari, in particolare della cartilagine, fino a generare lussazioni o sublussazioni vere e proprie.

 L’esame diagnostico che permette di confermare questa diagnosi è la risonanza magnetica nucleare. Nel caso di instabilità conclamata, in cui spesso il paziente risente di frequenti sublussazioni e deficit funzionali, il trattamento consigliato è quello chirurgico, poiché un trattamento solo conservativo è associato ad un alto tasso di ricadute e riacutizzazioni della patologia, soprattutto nei pazienti più giovani. 

Le fratture della spalla (intese come fratture prossimali di omero) sono frequenti soprattutto negli anziani, e si verificano per mezzo del meccanismo traumatico della caduta sul braccio disteso.

Per poter definire il tipo di frattura e quindi il metodo di trattamento più adatto, è necessario sottoporsi ad un esame radiografico, sulla base del quale è possibile decidere se orientarsi sull’utilizzo di un apparecchio gessato o sulla terapia chirurgica con la successiva immobilizzazione di minimo 3 settimane.

Sono possibili anche tempi più lunghi in base alla gravità della frattura, all’età e alle condizioni generali del paziente e dopo la rimozione del gesso viene spesso indicato anche l’utilizzo di tutore.

Nel contempo, è importante un corretto approccio fisioterapico atto al recupero della mobilità e della funzionalità. Durante il trattamento è bene tenere sempre sotto controllo il dolore e la paura del movimento da parte del paziente, il quale, soprattutto nelle prime fasi, viene pure istruito su come poter svolgere alcune attività personali in autonomia ed in sicurezza, come per esempio vestirsi o lavarsi.

 

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/spalla-sindrome-da-conflitto-frattura-e-instabilita/

 

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