Differenze tra ernia cervicale, lombare e dorsale

Differenze tra ernia cervicale, lombare e dorsale

Sono stati pubblicati numerosi studi in cui si attesta che l’incidenza per le condizioni dolorose legate al mal di schiena e il dolore al collo è in continua ascesa fra le popolazioni dei Paesi Sviluppati, come l’Italia, e le motivazioni sono ormai ben note:

  • l’attività fisica è poco praticata, nonostante per quasi tutti non manchi la possibilità di poter avere delle scarpe da ginnastica o di iscriversi in una palestra;
  • si pratica una vita sempre più sedentaria, non solo a lavoro ma anche nel tempo libero;
  • il tipo di postura che si utilizza al lavoro: la maggior parte dei lavoratori utilizza il pc, oppure è seduto davanti a una scrivania per almeno 8 ore al giorno, senza pensare a quelle che si passano seduti in metro, autobus o in macchina per arrivare e tornare dal luogo di lavoro;
  • lo stress è diventato parte integrante nella vita di tutti giorni e non sempre si hanno le capacità per gestirlo al meglio. Questo elemento risulta essere uno degli elementi alla base della qualità di vita e di conseguenza della postura e del peso forma.

 

Cenni di anatomia e fisiologia

Le vertebre sono le ossa che costituiscono la colonna vertebrale, sono 33 per l’esattezza e si suddividono dal cranio verso l’osso sacro in questo modo:

  • 7 vertebre cervicali;
  • 12 vertebre dorsali;
  • 5 vertebre lombari;
  • 5 vertebre calcificate sacrali;
  • 4 vertebre calcificate coccigee.

I primi tre segmenti, ossia cervicale, dorsale e lombare sono caratterizzati dall’interposizione di un disco tra le vertebre mentre gli ultimi due segmenti, quello sacrale e quello coccigeo, hanno le vertebre calcificate tra loro per questo vengono spesso considerati come uniche ossa.

 

Qual è la funzione del disco intervertebrale nei rispettivi tratti cervicale, dorsale e lombare?

Il disco intervertebrale ha il compito di stabilizzare i movimenti vertebrali e ammortizzare il carico a cui è sottoposta la colonna.

Questa struttura per il nome di “disco” proprio perché la sua forma circolare assomiglia a un disco, dove si riconoscono due parti differenti:

  • Il Nucleo polposo: è chiamato “nucleo” poiché si trova al centro del disco e ha una consistenza semiliquida;
  • L’Anulus fibroso: è un anello fibroso che si trova nella parte esterna del disco e serve a proteggere il disco e a contenerne il suo nucleo.

Qual è il significato del termine “ernia del disco”?

Il termine “ernia del disco” indica una condizione in cui, a seguito di importanti sollecitazioni il nucleo polposo fuoriesce dall’anulus fibroso.

Occorre distinguere la protrusione discale dall’ernia del disco:

  • Protrusione discale: è una parziale fuoriuscita del disco dalla sua normale sede anatomica;
  • Ernia del disco: è la fuoriuscita del nucleo polposo dall’anello fibroso.

 

È vero che tutte le ernie del disco causano dolore?

La risposta è no, quindi se hai eseguito una risonanza magnetica e hai scoperto di avere delle ernie del disco o delle protrusioni ma non hai dolore, non ti preoccupare, è normale.

Episodi di degenerazione discale sono presenti in moltissime persone adulte, con un’incidenza crescente con l’avanzare dell’età. L’ernia del disco produce dolore quando fuoriesce in prossimità della radice nervosa, e di conseguenza la comprime.

Una compressione di questo tipo può dare origine a vari sintomi tra i quali:

  • Dolore: il dolore può essere locale e nei casi più gravi si può irradiare. Nelle ernie delle vertebre lombari il dolore può raggiungere anche le dita del piede;
  • Formicolio: anche in questo caso il formicolio può irradiarsi lungo il territorio innervato dalla radice nervosa compressa;
  • Parestesia e perdita della forza: sono anche questi dei segni clinici della sofferenza nervosa, che compaiono nelle condizioni avanzate.

 

Quali sono i rimedi per l’ernia cervicale?

Qualora l’ernia cervicale sia considerata responsabile della sintomatologia dolorosa si ricorre a due tipologie di rimedi:

  • il primo è il trattamento conservativo fisioterapico, caratterizzato da un approccio non invasivo costituito di tecniche manuali, esercizi e mezzi fisici;
  • il secondo è l’approccio chirurgico invasivo, che viene attuato quando i tentativi terapeutici conservativi non hanno portato il beneficio sperato e la situazione clinica presente rischia di danneggiare i tessuti circostanti tra cui il nervo.

 

La fisioterapia per l’ernia lombare

La fisioterapia per l’ernia lombare è ad oggi lo strumento migliore per trattare questa condizione. Come già anticipato in precedenza il ciclo fisioterapico avrà l’obbiettivo di migliorare il movimento di tutta la colonna, la cui disfunzione è ritenuta una delle cause principali che hanno sviluppato l’ernia del disco.

Per ridurre il dolore locale e irradiato i fisioterapisti applicano:

  • Posture di scarico, ad esempio ponendo il paziente in decupito laverale in cui si ha la decompressione della radice colpita;
  • Tecniche manuali specifiche: come la tecnica manuale del poumpage e della trazione;
  • Mezzi fisici ad alta tecnologia come: laser ad alta potenza, tecarterapia, ipertermia, ultrasuoni, correnti antalgiche e neurostimolatore interix.

 Una volta diminuita la sintomatologia algica si può passare al recupero di una corretta postura. Questo obbiettivo si raggiunge con esercizi specifici, mobilizzazioni e piccoli accorgimenti che il paziente dovrà adottare giornalmente come ad esempio l’applicazione di un cuscino dietro il dorso mentre lavora o mentre guida in modo da ridurre la rigidità della cifosi dorsale e di conseguenza non affaticare troppo il tratto dorsale nel corso dei movimenti.

Nella parte finale del ciclo terapeutico si tende a lavorare per migliorare la funzionalità del tronco e del collo con un piano di allenamento riabilitativo specifico per la persona che miri a rinforzare il compartimento muscolare deputato alla stabilizzazione.

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/ernia-disco/ 

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Anatomia della Cervicale

Anatomia della Cervicale

L’anatomia delle ossa, dei muscoli e dei nervi della cervicale è importante per poi capire le varie patologie di questo distretto corporeo, individuare e interpretare i sintomi che derivano dalle sue strutture ed infine permette al medico e al fisioterapista trovare la migliore soluzione per ogni caso clinico.

OSSA DELLA CERVICALE

La cervicale è la componente ossea del nostro collo. La cervicale è costituita da sette diverse vertebre, ognuna con caratteristiche anatomiche diverse in base alla tipo di mobilità e di connessioni anatomiche.

Le vertebre cervicali si dividono in due tratti: Il tratto superiore (C1-C2) ed il tratto inferiore (C3-C7).

Le vertebre del tratto superiore della cervicale sono l’atlante e l’epistrofeo, per la loro forma moto diversa dalle altre vertebre permettono la rotazione della testa, inserendosi una dentro l’altra creando uno snodo.

La cervicale inferiore è dedicata maggiormente ai movimenti di flessione ed estensione e all’inclinazione laterale. La loro conformazione è a tripode.

Ogni vertebra poggia su quella sottostante entrando in contatto con tre zone: il disco intersomatico (che ha anche una funzione di ammortizzatore) e le faccette articolari nella zona posteriore.

Le vertebre cervicali hanno una protuberanza posteriore chiamata processo spinoso che possiamo sentire toccando dietro al nostro collo. Il processo spinoso della settima cervicale è molto più pronunciato rispetto alle altre vertebre, tanto da caratterizzare il nome della stessa.

Infatti l’ultima vertebra cervicale è definita prominente e dopo di essa inizia la colonna dorsale.

MUSCOLI DELLA CERVICALE

La muscolatura cervicale si divide in superficiale e profonda, infatti possiamo palpare solo i muscoli superficiali e più grandi del collo.

I muscoli superficiali ci permettono attraverso la loro attivazione di muovere il collo e la testa, quelli più piccoli e profondi sono deputati alla stabilizzazione delle vertebre.Per una visione più completa è giusto precisare che sia i muscoli superficiali (come lo sternocleidomastoideo e il trapezio) che quelli profondi (come lo splenio della testa e del collo) agiscono costantemente in sinergia durante tutti i movimenti della testa e del collo.

Quando un muscolo si attiva per compiere un movimento specifico (es. guardare in alto) una serie di altri muscoli si contraggono per stabilizzare la parte della cervicale che non dovrà muoversi e facilitare il movimento che vogliamo effettuare.

I muscoli della cervicale hanno un anatomia complessa per la molteplicità delle azioni che devono compiere. Alcuni oltre ai movimenti del collo e della testa servono per muovere la mandibola, le clavicole o sollevare le spalle.

NERVI DELLA CERVICALE

Il midollo spinale è un prolungamento anatomico del cervello e permette allo stesso di inviare o ricevere impulsi dalla periferia.

I fasci provenienti dall’encefalo passano attraverso un canale formato dalle diverse vertebre cervicali, poi tra una vertebra e l’altra dal midollo fuoriescono i nervi.

I nervi che escono dalla cervicale sono sensitivi e motori, cioè innervano i muscoli della cervicale stessa, della spalla e delle braccia e ci permettono di avere sensazioni tattili, dolorose e di temperatura. Questo spiega perché quando abbiamo un problema alla cervicale, come ad esempio un’ ernia che comprime un nervo, il dolore può anche irradiarsi a distanza oppure dare sintomi come il formicolio alle mani.

Il gruppo di nervi più importante della cervicale è il plesso brachiale che è diviso in 5 radici, 3 tronchi, 6 divisioni (3 anteriori e 3 posteriori), 3 corde e 5 rami.Il plesso brachiale innerva la cute e i muscoli dell’intero arto superiore ad eccezione del trapezio innervato dal nervo accessorio spinale e una zona di cute vicino all’ascella che è invece innervata dal secondo nervo intercostale.

POSSIBILI CAUSE DEL DOLORE CERVICALE

Il dolore cervicale è un disturbo comune che può dipendere da un’ampia varietà di cause.

Può variare da lieve a grave, con casi più critici che potrebbero indicare un serio problema di fondo.

Il dolore cervicale è più diffuso nelle persone di età superiore ai 50 anni, ma al di là dell’invecchiamento, le cause del dolore cervicale sono talmente tante che possono riguardare ognuno di noi.

Molte persone sviluppano dolore cervicale senza una ragione specifica. Può succedere che il dolore insorga dopo aver preso una corrente d’aria o dopo una piccola lesione da torsione, ad esempio durante il giardinaggio. Questo dolore è chiamato “dolore cervicale aspecifico”. Il dolore cervicale aspecifico è il tipo più comune di dolore cervicale e di solito scompare dopo alcuni giorni.

Le cause del dolore cervicale specifico possono, invece, essere divise in 3 macro aree: lesioni e incidenti, condizioni di salute e stile di vita.

1- Lesioni e incidenti

Colpo di frusta.  Quando la testa è costretta a muoversi avanti e indietro oltre il normale range di movimento, il collo subisce una lesione. Il movimento innaturale e rapido del collo colpisce, infatti, i muscoli e i legamenti, che si stringono e si contraggono velocemente. Questo crea affaticamento muscolare con conseguente dolore e rigidità. Il colpo di frusta è più comunemente osservato durante un incidente automobilistico, ma può anche derivare da traumi come una caduta o un incidente sportivo.

Cervico-brachialgia. Nella condizione di cervico-brachialgia si verificano simultaneamente dolore cervicale e compressione di una o più radici nervose spinali cervicali (C1-C7). La cervico-brachialgia può causare dolore a livello della cervicale, lungo il braccio e persino fino a spingersi alle dita della mano.

Fratture della cervicale. Una frattura cervicale è una lesione traumatica che richiede cure mediche di emergenza immediate. Si verifica quando una delle sette ossa del rachide cervicale (vertebre cervicali) si frattura. Una frattura cervicale può essere grave e complessa e può avere un impatto anche sul midollo spinale.

Ernia disco cervicale. L’ernia del disco cervicale è una lesione in cui un disco cervicale può rompersi e esercitare pressione sui nervi adiacenti. I dischi cervicali sono i cuscini tra le vertebre nella parte superiore della schiena e il collo. Se vengono danneggiati da degenerazione o lesioni, possono gonfiarsi in modo anomalo o rompersi causando la fuoriuscita della cartilagine. Se il disco interessato esercita pressione sui nervi o sul midollo spinale, può causare un dolore grave che s’irradia dal collo lungo il braccio e fino alla punta delle dita.

2- Condizioni di salute

Artrosi cervicale. L’artrosi cervicale è una degenerazione delle articolazioni, delle vertebre e dei dischi nella porzione cervicale della colonna vertebrale, che può portare a dolore, infiammazione e persino funzionalità compromessa. Artrite cervicale L’artrite cervicale si sviluppa quando il sistema immunitario determina la comparsa d’infiammazione intorno alle articolazioni della cervicale.

3- Stile di vita

Sovrappeso. Il sovrappeso non rappresenta solo un male per la parte bassa della schiena, può anche determinare la comparsa di tensioni nella parte superiore della schiena e nel collo. Una cattiva postura e una distribuzione non uniforme del peso possono causare dolore cervicale cronico.

Sport. Alcuni tipi di sport possono usurare i muscoli e i legamenti della cervicale. I colpi diretti alla testa o alla spalla possono causare lesioni al collo, danni ai dischi vertebrali e ai nervi, così come stiramenti e distorsioni.

Dolore da postura. Una cattiva postura determina una tensione eccessiva dei muscoli e dei tendini della cervicale, causando dolore e lesioni che possono durare nel tempo.

Smartphone e computer. La postura che vede testa e spalle in avanti è l’esempio più comune di cattiva postura che contribuisce al dolore cervicale.

Sonno. Sia la posizione assunta durante il sonno, che il tipo di cuscino usato per dormire, possono causare rigidità cervicale e conseguente dolore.

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/patologie/cervicale/ 

 

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Rigidità cervicale e Mal di testa

Rigidità cervicale e Mal di testa

La rigidità cervicale è un disturbo molto diffuso e comune. Generalmente è caratterizzata da dolenzia diffusa sulle spalle, dolore e pesantezza tra le scapole e lungo il collo fino alla base della nuca. I movimenti del collo sono limitati e dolenti, specialmente ruotare la testa da un lato come quando si vuole guardare dietro mentre si fa retromarcia in auto. La rigidità cervicale spesso è associata a mal di testa, cefalea tensiva o emicrania.

Può essere anche uno dei sintomi che accompagnano episodi di vertigine o pseudo-vertigine, con o senza cefalea, perché i disordini cervicali possono essere causa di capogiri o “vertigini cervicali”.

Cosa fare in caso di rigidità cervicale

La rigidità cervicale è una condizione clinica di facile gestione: spesso ha un’origine muscolare e può essere trattata velocemente e con poche sedute.

La rigidità cervicale è una delle caratteristiche fondamentali della “cervicalgia”. Quando la mobilità cervicale viene limitata e la rigidità si manifesta, che sia lieve o grave, che sia insorta dopo aver dormito in una certa posizione o dopo uno sforzo, le prime cose da fare sono semplici e uguali per tutti:

Consapevolezza: rendersi consapevoli che qualcosa è successo, è normale che il collo possa irrigidirsi e che c’è bisogno di almeno 24 ore per poter ipotizzare una possibile causa e decidere cosa fare.

Tranquillità: è importante restare tranquilli, “ascoltare” il corpo ed evitare i movimenti e posizioni che provocano più dolore e aumentano la rigidità. Evitare “pensieri catastrofici” che aumentano solo la percezione del dolore. Questo vale per le prime 24-48 ore.                                                                         

Rivolgersi ad esperti: prima di prendere farmaci che non servono e hanno effetti collaterali, e senza andare dal medico, è sufficiente chiamare un fisioterapista specializzato e chiedere un consulto.                    

Movimento: è fondamentale continuare a fare le cose normalmente con i dovuti accorgimenti. Da evitare assolutamente il riposo passivo, ad esempio stare a letto o prendere farmaci subito, mettere un collare o fare radiografie o risonanze. Tutto ciò non serve e peggiora la situazione, indebolendo mente e corpo.                                                                       

Realismo: non esistono cuscini magici, creme da spalmare o farmaci miracolosi per risolvere tutto e subito. Farmaci: gli antinfiammatori servono a ridurre i processi di infiammazione ma l’infiammazione è un evento naturale e necessario. I primi 4-5 giorni non dovrebbero essere assunti. Se dopo una settimana la rigidità, il gonfiore o i dolori permangono allo stesso livello o peggiorano ha senso prenderne ma solo su indicazione medica.                                                                               

Stretching e movimenti dolci: non appena possibile è bene iniziare a fare pochi ma continui esercizi di stretching dinamico (cioè movimenti ripetuti) e tonificazione del collo, anche generici.  Muoversi è sempre benefico e aiuta a migliorare la cosiddetta “stretch tolerance” cioè “l’estensibilità” dei tessuti. Questo si traduce in una maggiore capacità di movimento e benessere.                                                                       

Esercizi aerobici a basso impatto: oltre ai semplici esercizi di stretching o movimento generale, qualsiasi forma di esercizio aerobico a basso impatto è consigliato da subito: camminare, bicicletta, step machine o ellittica, meglio all’aria aperta per una migliore ossigenazione ed “impatto emotivo”.                          

Trattamento manuale: il fisioterapista esperto saprà usare e dosare le migliori tecniche di manipolazione tissutale. Si eseguono con le mani o con strumenti particolari, e consistono in pressioni sostenute o associate a movimenti. Vengono interessati diversi tessuti contemporaneamente: la cute, i vasi sanguigni, i nervi stessi, la fascia, i muscoli, i tendini, le articolazioni, i legamenti e le inserzioni di tali tessuti sulle ossa. Generalmente sono tecniche lente e di piccola ampiezza, con intensità e profondità graduali, per tempi adeguati alla condizione ed alla tollerabilità del paziente.

 

Ne indichiamo quelle con provata efficacia:

tecniche miotensive di rilassamento e inibizione che sono tecniche di mobilizzazione attivo-assistite che prevedono stimolazioni specifiche e stretching dinamico;

tecniche di manipolazione spinale: sono tecniche di medicina manuale ortopedica e osteopatica, veloci, di piccola ampiezza, che possono produrre rumori particolari (i famosi scrocchi o “crack”) usate solo da mani esperte, molto sicure ed efficaci;

tecniche di educazione neuroscientifica e coaching per apprendere la neurofisiologia del dolore, rimodulare convinzioni negative, stimolare una partecipazione attiva del paziente nel processo di guarigione;

tecniche di ricondizionamento neuro-muscolare: esercizi specifici, semplici, per stimolare il sistema nervoso con effetti neurofisiologici locali e globali e favorire il recupero della resistenza e della mobilità tissutale.

 

 

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Radiofrequenza in Fisioestetica

Radiofrequenza in Fisioestetica

Il termine “radiofrequenza” fa riferimento a segnali elettromagnetici le cui frequenze vanno da 30 KHz a 1000 MHz nello spettro elettromagnetico. La caratteristica di questi segnali elettromagnetici è quella di generare calore quando attraversano un tessuto biologico.

La radiofrequenza, in FisioEstetica, utilizza dispositivi all’avanguardia, dotati di manipoli che generano onde elettromagnetiche. Le onde attraversano l’epidermide e raggiungono i tessuti sottostanti emettendo calore (tra i 35°C e i 60°C). Questi strumenti provocano un surriscaldamento controllato che, a contatto con la pelle di viso e corpo, determina uno shock termico positivo, e stimola la produzione di nuovo collagene da parte dei fibroblasti. Ma non finisce qui. L’effetto termico, quando trasmesso a maggiore profondità, comporta la vasodilatazione, favorendo la circolazione sanguigna, riducendo la ritenzione idrica e incrementando l’apporto di ossigeno ai tessuti.

 

Come funziona la radiofrequenza in fisioestetica e in fisioterapia dermatofunzionale

La radiofrequenza nei centri fisioterapici, a differenza di quelli estetici, utilizzano frequenze ottimali e producono onde radio più intense in grado di raggiungere più tessuti. I risultati sono più consistenti e duraturi.

La profondità della penetrazione della radiofrequenza dipende dalla potenza, dalla frequenza, dalle dimensioni dell’elettrodo e dall’impedenza del tessuto (ossia la forza di opposizione del tessuto al passaggio della corrente). Con la radiofrequenza il calore può essere trasferito fino al livello del derma più profondo, raggiungendo anche il grasso sottocutaneo, migliorando di conseguenza il flusso del microcircolo, riducendo la stasi linfatica e stimolando la produzione di elastina e collagene.

Benefici della radiofrequenza in fisioestetica

Che cosa succede nel nostro corpo quando il calore prodotto dalla radiofrequenza raggiunge i vari tessuti?

DERMA : a livello del tessuto del derma è presente il collagene, formato da proteine. Quando il calore causato dalla radiofrequenza attraversa l’epidermide e raggiunge il derma provoca la denaturazione termica delle proteine che formano il collagene. In seguito alla denaturazione di queste proteine proteine viene stimolata l’attività dei fibroblasti, i quali, non solo produrranno nuovo collagene, che andrà a sostituirsi a quello vecchio, ma produrranno anche nuove fibre elastiche e nuovi glicosamminoglicani, tutti elementi fondamentali per il mantenimento di una pelle giovane, soda e tonica.

ADIPE: quando il calore formatosi grazie al trattamento di radiofrequenza raggiunge l’ipoderma, si assiste a un incremento del microcircolo e alla riduzione dell’accumulo di liquidi, determinando un miglioramento della cellulite e un effetto lipolitico.

La radiofrequenza risulta quindi essere uno strumento per la cura degli inestetismi sia del corpo che del viso. È in grado, infatti, di stimolare i naturali processi enzimatici e il microcircolo andando quindi a migliorare condizioni estetiche quali:

  • Cellulite
  • Smagliature
  • Cuscinetti di adipe localizzato
  • Rughe
  • Colorito spento della pelle
  • Linee d’espressione
  • Lassità cutanea
  • Produzione di sebo
  • Macchie della pelle
  • Occhiaie
  • Borse
  • Edemi dovuti a rinoplastica e liposuzioni.

Inoltre, la radiofrequenza si è rivelata utile anche nel trattamento del dolore cronico.

Tutti possono fare trattamenti di radiofrequenza?

La Radiofrequenza, pur essendo un trattamento non invasivo e assolutamente indolore, è sconsigliata a pazienti che hanno:

  • Infezioni locali,
  • Gravidanza e allattamento in atto,
  • Peacemaker,
  • Cardiopatie o aritmie cardiache,
  • Tumore in atto,
  • Malattie auto-immuni,
  • Epilessia,
  • Ferite non completamente rimarginate,
  • Eventuale sensazione di dolore-bruciore,
  • Presenza di deficit di sensibilità,
  • Coagulopatia e tromboflebiti in atto,
  • Neurostimolatori impiantati transcutanei,
  • Epifisi in crescita.

La Radiofrequenza, così come l’Ossigenoterapia e la terapia con le Onde d’Urto, sono trattamenti che stimolano la rigenerazione cellulare. È quindi fondamentale rispettare il turnover cellulare (il rinnovamento cellulare avviene ogni 28 giorni nel nostro organismo) e, dopo la prime sedute, con cadenza trisettimanale, è bene continuare il trattamento con un richiamo a distanza di 15 giorni, al fine di ottenere i massimi risultati.

Ogni seduta può durare dai 20 ai 60 minuti. Un ciclo completo prevede, in media, 10-20 sedute, a seconda del tipo di inestetismo da combattere.

 

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Allenamento, Dolore Cronico e Fisioterapia

Allenamento, Dolore Cronico e Fisioterapia

Quando si parla di dosaggio dell’allenamento purtroppo si ha la tendenza a “prescrivere” quasi sempre le classiche 3 serie da 10, 12 o 15 ripetizioni.

Un principio che andrebbe, dopo tantissimi decenni, modificato in funziona di una metodologia su misura in funzione dei bisogni specifici delle persone.

Storia e princìpi del 3 x 10

Chi si è allenato in palestra sa che variare ripetizioni e serie serve all’organismo – in modo particolare ai muscoli – per non abituarsi ai carichi e avere migliori risultati sia per quanto riguarda l’ipertrofia che la definizione.

In Fisioterapia, al contrario, non si è mai data troppa importanza al “modo” di fare gli esercizi, innamorandosi dello standard 3 x 10. In pratica si fanno sempre dieci ripetizioni, ci si riposa un tempo variabile (di solito almeno un minuto), per poi ripetere l’esercizio per un totale, appunto, di tre serie.

Ad aver creato tale protocollo fu Thomas DeLorme che curava soldati feriti durante la Seconda Guerra Mondiale. Egli notò come questi uomini, a fronte di ferite anche gravi, traessero il maggiore beneficio seguendo il 3 x 10.

Il principio del metodo era banale: aumentava la forza e velocizzava il recupero attenuando il dolore (Fonte: Todd, Shurley e Todd, 2012).

 i fisioterapisti dovrebbero conoscere, oltre al loro mestiere, anche le basi dell’esercizio fisico per poterlo applicare nel modo opportuno ai loro pazienti. Esistono, in linea di massima, 4 fondamentali principi:

  • Sovraccarico, è utile per migliorare la funzionalità fisiologica e produrre una più rapida risposta dell’organismo dovuta all’allenamento.
  • Specificità, sia degli esercizi da proporre che delle differenti attività in funzione della singola persona per generare “specifici” effetti.
  • Differenze individuali, ogni persona risponde in maniera differente alle medesime sollecitazioni in funzione di moltissimi fattori personali, fisici e anche psicologici.
  • Reversibilità, se una persona lascia un programma di allenamento il suo “ritorno al passato” sarà molto rapido. Capire questo meccanismo per poterlo affrontare e diminuirne gli effetti negativi è importantissimo.

 

Correlazione tra dolore ed esercizio

Gli studi dimostrano come alcuni medici possano instillare nei pazienti, ovviamente in modo non intenzionale, la convinzione che il dolore sia correlato direttamente al danno incoraggiandoli a smettere di fare esercizio.

Capire come fare esercizio fisico, le sue implicazioni fisiologiche o anche il riacutizzarsi del dolore stesso, sono argomenti complessi poiché il dolore è un fenomeno multidimensionale.

I medici e gli specialisti devono capire che provare dolore, non significa per forza:

  • Nuocere a una persona.
  • Non significa che è in pericolo.
  • O che possa in qualche modo creare lesioni o danni.

 

 Cosa fare per aiutare una persona che svolge esercizi dolorosi…

Ecco un breve decalogo – per fisioterapisti – al fine di rendere l’esperienza il più gradevole possibile:

  1. L’esercizio fisico deve essere divertente.
  2. Fai fare esercizi aerobici, ma anche di controllo motorio.
  3. Monitora costantemente eventuali sintomi o fastidi, mantieni tutto sotto controllo.
  4. Tra le varie serie è opportuno fare pause abbastanza lunghe (di media tra i 2 e i 5 minuti).
  5. Scegli specifici esercizi in funzione del paziente e adattali alle sue esigenze personali.
  6. Utilizza un approccio organizzato e che segua una linea del tempo precisa.
  7. Parla con il paziente e discuti con lui il tipo di protocollo d’allenamento che hai in mente.
  8. Accetta che il dolore, in minima parte, sia destinato ad aumentare durante lo svolgimento delle sessioni d’allenamento.
  9. Attenzione, rispetto ed empatia.

 

… e cosa NON fare

  1. Iniziare da subito con carichi troppo pesanti che potrebbero provocare molto dolore.
  2. Focalizzarsi esclusivamente sul 3 x 10.
  3. Allenare solo le zone doloranti a scapito di quelle che invece “sembrano” non esserlo.
  4. Puntare al non far sentire il dolore – perché il dolore non è un indicatore delle condizioni dei tessuti.
  5. Essere troppo duri e “dittatoriali” con il paziente, quando invece sono necessari dialogo e collaborazione.

Come si evince da questa sommaria lista si dovrebbe ascoltare il paziente e, allo stesso tempo, conoscere le varie tecniche per evitare che questi – per paura del dolore – lo rifugga andando a incidere negativamente sulla terapia.

Il dolore è un fenomeno fortemente soggettivo, tanto che un 5/10 per una persona, dovuto da un dato movimento, può essere invece percepito come un 2/10 o anche un 8/10 da altri.

 

Scegliere il ritmo, decidere l’obiettivo, lavorare per livelli (o quote)

Uno dei metodi maggiormente diffusi per “allenarsi” anche quando c’è dolore (e contro di esso) è di lavorare per livelli prestabiliti (o quote).

Il meccanismo è abbastanza semplice: si prestabilisce un quantitativo di attività che deve essere svolta indipendentemente dall’intensità del dolore che la persona sente.

A questo punto si aumenta il carico di lavoro in modo graduale, permettendo al paziente di “abituarsi” al dolore.

Siamo di fronte a una metodologia combinata con un approccio sistemico in cui, una volta raggiunta la quota di lavoro, il soggetto viene ricompensato (Fordyce, 2015).

Sebbene il lavoro per quote si sia dimostrato utile (esso mira ad aumentare gradualmente i carichi di lavoro), mostra però evidenti limiti, per questo si sta provando a combinarlo con metodi più dinamici, dosati sul singolo individuo.

 

Giusto “dosaggio” nella gestione del dolore cronico

Per dosaggio si intende la “frequenza”, ossia il numero di volte in cui si allena nell’arco di una singola settimana. Per intensità, invece, si intende il modo in cui ci si allena (quanto duramente). 

È una metodologia che serve per costruire la tolleranza “su misura” al dolore. La versatilità dei “programmi contingenti” fornisce ai pazienti la possibilità di vedere aumentare i carichi di lavoro attraverso l’utilizzo di scale di valutazione soggettive e personali, ottenendo anche un miglioramento dal punto di vista fisico.

Il volume dell’allenamento è ottenuto attraverso una serie di semplici calcoli su specifici parametri immessi dal fisioterapista in funzione della persona, dei bisogni, dello stato di forma del paziente.

Perché utilizzare un “programma contingente”

Avere un approccio contingente permette al fisioterapista di modulare i vari parametri della scheda di allenamento per avere il medesimo Volume Totale. Di conseguenza sarà possibile diminuire il Carico (che indica il peso utilizzato), magari a favore delle Ripetizioni (Reps).

Come si vede il Volume Totale (420, 1200) per le due schede è identico, a variare sono i parametri che il fisioterapista può modulare in base alle esigenze/paure del paziente. Utilizzare un approccio contingente permette quindi di passare da un ragionamento:

  • Univariato (l’unico parametro a cambiare è il peso) a uno
  • Multivariato (modificando i parametri di dosaggio per aumentare il volume complessivo)

Con questo approccio è possibile stimolare il fisico del paziente anche a fronte delle sue necessità (e timori causati dal dolore), cambiando i singoli parametri al fine di raggiungere l’obiettivo prestabilito. È chiaro come il volume di carico sia il medesimo nei vari scenari nonostante la riduzione del tempo continuativo di allenamento ma con l’aumento della frequenza.

Al paziente verrà così concesso di riposarsi in base ad accordi preliminari e con il raggiungimento dei valori prestabiliti. Si crea così anche un meccanismo premiante: conseguimento dell’obiettivo → riposo.

Siamo di fronte a una metodologia che “naviga a vista”, in cui è essenziale l’apprendimento e l’attenzione massima da parte del fisioterapista e della persona che allena, per fornire i giusti feedback su eventuali aumenti della tolleranza fisiologica. In generale si dovrebbe utilizzare una scala soggettiva che aiuti per capire il dolore e dargli il giusto “peso” non solo durante l’allenamento.

Conclusioni

È importante lavorare sul dosaggio (o quota) con una grossa enfasi alla contingenza temporale così come alla tolleranza fisiologica.

Un buon fisioterapista non solo conosce gli strumenti per aiutare il paziente, ma sa anche come stimolarlo dal punto di vista umano e dargli fiducia nei propri mezzi rompendo l’idea che il movimento porti dolore: o ancora meglio che il dolore provocato dall’esercizio fisico, sia un indicatore di danni ai tessuti. 

 

 

 

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/il-dosaggio-dellallenamento-e-il-dolore-cronico/ 

 

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Movimento ed Allenamento

Movimento ed Allenamento

Il movimento è vita!

Questa affermazione può sembrare una generalizzazione ma non è così.

Tutto il nostro corpo  è stato progettato per muoversi e la forma del nostro corpo è plasmata dai movimenti che facciamo seguendo la regola che: “la forma è il risultato della funzione”

La forma è il risultato della funzione

Spieghiamo questo concetto partendo dall’inizio.

Quando il nascituro si trova nel grembo materno la posizione che assume è quella fetale. La colonna vertebrale presenta una unica curvatura con la parte concava rivolta in avanti (cifosi) come fosse una lettera “C”. Dopo la nascita il neonato non controlla in un primo momento la posizione del capo e, quando questo avviene, si forma a livello della colonna cervicale una nuova curva avente la concavità opposta (lordosi) a quella già presente.

Successivamente il bimbo acquisirà la posizione eretta per camminare e questo determinerà la formazione di una nuova curva a livello lombare (lordosi) che è il risultato della tensione di alcuni muscoli che uniscono l’anca alla colonna vertebrale.

La nostra colonna vertebrale presenta pertanto tre curvature: La cifosi dorsale, che è la prima a strutturarsi, la lordosi cervicale e quella lombare che sono frutto della funzione che la colonna deve assolvere.

Com’è organizzato il movimento umano?

Esistono delle aree della corteccia cerebrale (la parte più esterna del cervello dal caratteristico colore grigio) che sono responsabili del movimento.

Inizialmente pensavamo che in queste aree cerebrali ci fosse scritto il singolo muscolo ma ciò che abbiamo capito successivamente che nelle aree cerebrali ci sono scritte le funzioni.

Come esempio possiamo osservare due movimenti simili che producono l’allungamento del braccio ovvero l’afferrare un oggetto o indicare una direzione.

Questi movimenti sono prodotti da attivazioni del cervello differenti.Questo perché nel nostro cervello ci sono scritte le funzioni piuttosto che i singoli movimenti e ciò ha un impatto significativo sulla scelta del corretto esercizio per la cura di una specifica problematica.

Il ruolo del fisioterapista

Il fisioterapista, infatti, nella scelta dell’esercizio terapeutico più idoneo da somministrare ad un paziente deve tenere conto di questo principio fornendo una serie di esercizi che possano riallenare le diverse funzioni del paziente. 

La specificità dell’esercizio è un elemento estremamente importante sia per chi vuole allenarsi in maniera adeguata e, lo è ancor di più, quando si parla di recuperare una funzione momentaneamente persa.

Questi concetti volgono ovviamente per tutto il movimento umano. Il fisioterapista, da questo punto di vista deve:

  • In prima analisi comprendere quale sia la funzione che è più importante recuperare e deve dare degli esercizi di movimento o allenamento terapeutici specifici per quella funzione piuttosto che limitarsi a rinforzare dei muscoli.

Per questa ragione, seguire un programma di esercizi di movimento o allenamento senza che ci sia stata una valutazione funzionale da parte del fisioterapista può essere inutile in quanto non è detto che si lavori sulla funzione ridotta dal processo patologico.

Importante è considerare anche le possibili integrazioni che il movimento e l’allenamento oggi stanno avendo con varie tecnologie come alcuni sistemi per la tecarterapia che stanno implementando interfacce dinamiche per l’utilizzo in allenamento.

L’era del mero rinforzo muscolare è terminata ed ha lasciato il posto all’esercizio funzionale.

Un esercizio che rende il recupero più specifico e quindi, che determina risultati più veloci.

 

 

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