Movimento e Allenamento

Movimento e Allenamento

Tutto il nostro corpo è progettato per muoversi.
Pensiamo al piede, organo straordinario che si adatta alle asperità del suolo per consentire la locomozione.
Pensiamo alla colonna vertebrale che con le sue vertebre assicura flessibilità e allo stesso tempo capacità di sopportare carico.
Pensiamo alla mano coi suoi movimenti fini che consentono la di prendere oggetti e di accarezzare delicatamente il volto di un bambino.

Tutto è stato progettato per muoversi e la forma del nostro corpo è plasmata dai movimenti che facciamo seguendo la regola che: “la forma è il risultato della funzione”

La forma è il risultato della funzione

Spieghiamo questo concetto partendo dall’inizio.

Quando il nascituro si trova nel grembo materno la posizione che assume è quella fetale. La colonna vertebrale presenta una unica curvatura con la parte concava rivolta in avanti (cifosi) come fosse una lettere “C”. Dopo la nascita il neonato non controlla in un primo momento la posizione del capo e, quando questo avviene, si forma a livello della colonna cervicale una nuova curva avente la concavità opposta (lordosi) a quella già presente.
Successivamente il bimbo acquisirà la posizione eretta per camminare e questo determinerà la formazione di una nuova curva a livello lombare (lordosi) che è il risultato della tensione di alcuni muscoli che uniscono l’anca alla colonna vertebrale.

La nostra colonna vertebrale presenta pertanto tre curvature: La cifosi dorsale, che è la prima a strutturarsi, la lordosi cervicale e quella lombare che sono frutto della funzione che la colonna deve assolvere.
Con questo semplice esempio abbiamo conferma che la forma è governata dalla funzione motoria. 

 

Com’è organizzato il movimento umano?

Ciò che sappiamo è che esistono delle aree della corteccia cerebrale (la parte più esterna del cervello dal caratteristico colore grigio) che sono responsabili del movimento.

Inizialmente pensavamo che in queste aree cerebrali ci fosse scritto il singolo muscolo ma ciò che abbiamo capito successivamente che nelle aree cerebrali ci sono scritte le funzioni.

 

Come interviene il fisioterapista

Il fisioterapista, infatti, nella scelta dell’esercizio terapeutico più idoneo da somministrare ad un paziente deve tenere conto di questo principio fornendo una serie di esercizi che possano riallenare le diverse funzioni del paziente. 

Ad esempio in un soggetto che ha sofferto di una qualche patologia alla spalla si possono dare esercizi volti ad indicare una direzione, seguendo semplicemente il profilo di un oggetto. Questo esercizio può essere eseguito con o senza un peso al fine di aumentare l’intensità dell’esercizio stesso. Oppure si possono dare esercizi finalizzati alla prensione di oggetti o al lancio di oggetti. 
Sebbene tutti questi esercizi coinvolgano gli stessi gruppi muscolari implicano, come già detto, schemi di attivazione differenti. 
La specificità dell’esercizio è un elemento estremamente importante sia per chi vuole allenarsi in maniera adeguata e, lo è ancor di più, quando si parla di recuperare una funzione momentaneamente persa.

Importante è considerare anche le possibili integrazioni che il movimento e l’allenamento oggi stanno avendo con varie tecnologie come ad esempio alcuni sistemi per la tecarterapia che stanno implementando interfacce dinamiche per l’utilizzo in allenamento.

L’era del mero rinforzo muscolare è terminata ed ha lasciato il posto all’esercizio funzionale.

Un esercizio che rende il recupero più specifico e quindi, che determina risultati più veloci.

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/terapie/movimento-e-allenamento/ 

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Emicrania e Cefalea Tensiva: rimedi e terapia manuale

Emicrania e Cefalea Tensiva: rimedi e terapia manuale

Le Cefalee primarie sono disordini neuro-funzionali senza una causa specifica come può accadere per una malattia o infezione. Per questo motivo si parla di eziopatogenesi multifattoriale perché numerosi fattori (fisici, psico-emotivi, ambientali, alimentari etc) concorrono alla loro insorgenza, alla loro espressione sintomatologica e al loro sviluppo e peggioramento nel tempo.

Sono stati identificati alcuni meccanismi disfunzionali precisi e comuni ad alcune forme, come la sensibilizzazione del sistema nervoso, cioè la sua ipersensibilità e ipereccitabilità a seguito dell’esposizione a fattori stressanti e provocativi.

Le forme più comuni sono:

  • la Cefalea Tensiva;
  • l’Emicrania.
  • le Cefalee Autonomiche Trigeminali (TACs) che comprendono la Cefalea a Grappolo, e altre forme primarie di cefalea.

La Terapia Manuale o Manipolativa Ortopedica o Osteopatica (OMT) è una terminologia specifica con cui si indicano trattamenti manuali ed esercizi specifici eseguiti da fisioterapisti o osteopati con una formazione universitaria specifica per trattare il dolore e le disabilità neuro-muscolo-scheletriche. Include tecniche valutative osservative e palpatorie, tecniche di mobilizzazione e manipolazione articolare e miofasciale – anche assistita da strumentazioni varie – ed esercizi correttivi specifici più allenamento riabilitativo.

Nonostante le difficoltà della ricerca scientifica, il numero di studi clinici relativi alla terapia manuale ed al trattamento di comorbidità muscolari nelle cefalee primarie continua a crescere, dimostrandone l’efficacia. Questo tipo di trattamenti che combinano varie tecniche manuali ed esercizi viene generalmente cercato a posteriori dai pazienti, oppure in alternativa o in complemento alle terapie farmacologiche.

I principali vantaggi della Terapia Manuale:

  • riduzione dell’uso di farmaci,
  • assenza di effetti avversi e controlaterali,
  • riduzione o eliminazione di sintomi a livello cervicale o temporomandibolare,
  • miglioramento della capacità di movimento e della coordinazione e tonicità neuro-muscolare.

Clinicamente la terapia manuale e gli esercizi riducono o eliminano tutte quelle fonti di dolore periferico (muscolare, fasciale, articolare, nervoso) e le relative disfunzioni di movimento che, in base al momento di vita della persona, possono funzionare come fattori stressanti, o irritanti (sensibilizzanti), o triggers (scatenanti) delle cefalee primarie.

Linee Guida e studi clinici

La letteratura scientifica internazionale è ormai popolata di studi, analisi e revisioni che avvalorano l’efficacia della terapia manuale, dell’esercizio terapeutico e di altre forme di trattamenti paralleli e alternativi alle strategie farmacologiche. Questi “nuovi approcci terapeutici” contribuiscono a ridurre il numero degli attacchi, la loro intensità e, quindi, a ridurre la disabilità nelle pazienti.

In sintesi, già 10 anni fa avevamo evidenze scientifiche buone sull’efficacia della terapia manuale soprattutto nel trattamento della cefalea tensiva, in particolare cronica. Di conseguenza, pazienti con tale diagnosi dovrebbero essere indirizzati o quantomeno invitati a considerare interventi di terapia manuale specializzata, in alternativa o complemento ai trattamenti farmacologici.

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.clinicadelmalditesta.com/2023/06/04/emicrania-e-cefalea-tensiva-rimedi-e-terapia-manuale/ 

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Mal di Schiena e Postura

Mal di Schiena e Postura

Sapevi che una postura può contribuire all’insorgere del mal di schiena? Le nostre attività quotidiane svolgono un ruolo chiave nella salute della nostra colonna vertebrale.

Sfortunatamente, questi tempi moderni non stanno facendo nulla per aiutare la nostra postura. Le ore trascorse alla scrivania, il tempo libero con la testa sepolta negli schermi e uno stile di vita inattivo possono compromettere la nostra salute e causare mal di schiena cronico.

La maggior parte delle volte, non pensiamo nemmeno alla nostra postura, a meno che non iniziamo a provare dolore. Essendo consapevole della tua postura, tuttavia, puoi effettivamente prevenire le condizioni dolorose della colonna vertebrale prima che si verifichino.

 

Postura corretta

La postura è il delicato equilibrio che le nostre ossa, i nostri muscoli e i nostri tessuti dovrebbero mantenere mentre ci alziamo, ci sediamo, ci muoviamo o ci sdraiamo. Una buona postura consente al corpo di rimanere allineato e previene l’affaticamento muscolare delle articolazioni.

In alcuni casi, le condizioni patologiche della colonna vertebrale sono causate da malattie o fattori genetici. Altre volte, la colpa è da imputare ad anni di cattiva postura e scelte di vita malsane.

Una buona postura è la chiave per mantenere il corpo sano e prevenire lesioni alla schiena. Una buona postura può aiutare a:

  • Diminuire lo stress sulla colonna vertebrale che porta al dolore cronico;
  • Ridurre l’usura delle articolazioni che altrimenti porterebbe ad artrosi;
  • Renderti più sicuro;
  • Prevenire l’affaticamento muscolare e gli squilibri muscolari;
  • Mantenere una colonna vertebrale sana e forte, prevenendo così condizioni come l’iperlordosi e la cifosi.

 

Postura scorretta

Di seguito troverai una breve guida su quali posture scorrette andrebbero evitate.

Postura da seduti

Uno dei più grandi errori che le persone commettono mentre sono seduti è quello di piegarsi, sia in avanti che all’indietro, aumentando la tensione sui muscoli.

Se svolgi un lavoro d’ufficio, o possiedi una sedia su cui ami rilassarti mentre guardi la televisione, assicurati che la sedia sia dell’altezza giusta. Assicurati che i piedi non penzolino e che i fianchi e le ginocchia poggino con un angolo di 90 gradi. Questa posizione riduce la flessione in avanti della colonna vertebrale, che potrebbe, altrimenti, contribuire all’uscita di un’ernia o alla degenerazione del disco.

Se lavori molto al computer, assicurati che il monitor sia posizionato all’altezza degli occhi. Se il monitor è troppo alto, il collo si estende verso l’alto, causando compressione sulle articolazioni cervicali e affaticamento muscolare. Al contrario, guardare un monitor troppo basso favorisce una posizione inclinata che può influire sul resto della colonna vertebrale.

 

Postura stando in piedi e camminando

Anche mantenere una buona postura in posizione eretta è importante. Molto spesso il modo in cui ci alziamo e camminiamo può causare affaticamento muscolare e compressione spinale.

Ad esempio, può capitare che alcune persone mettano più peso su una gamba. Questo può causare affaticamento muscolare nella parte bassa della schiena e nei glutei e può anche portare a condizioni come l’inclinazione pelvica anteriore.

Quando sei in piedi, assicurati di sostenere il peso del corpo con le punte dei piedi e con le ginocchia leggermente piegate. Inoltre, le spalle dovrebbero essere tirate all’indietro e lo stomaco in dentro. Mentre cammini, guarda dritto davanti a te per evitare di incurvare le spalle. Quando cammini, fai uno sforzo e cerca di atterrare sul tallone; quindi, sposta il peso delicatamente in avanti per spingere sulla parte anteriore del piede.

Anche il tipo di scarpe che utilizzi potrebbe causare mal di schiena cronico. I tacchi alti, ad esempio, sebbene consentano di stare più in alto, aumentano lo stress e l’affaticamento muscolare di schiena, fianchi, polpacci e ginocchia. I tacchi alti possono appiattire la parte bassa della colonna vertebrale e causare uno spostamento del collo e della colonna vertebrale toracica.

 

Postura da sdraiati

Anche ciò che fai mentre sei sdraiato può anche influenzare la colonna vertebrale. Dormire bene la notte è un ottimo modo per far riposare i muscoli tesi. Dormire in maniera errata potrebbe, invece, portare a un disagio ancora maggiore.

Se soffri di mal di schiena cronico un materasso rigido può fornire un sollievo significativo. Dormire sullo stomaco può aggravare eventuali problemi collegati al mal di schiena, prova a dormire su un fianco o sulla schiena. Molte persone riferiscono che mettere un cuscino tra le gambe mentre dormono su un fianco, o sotto le ginocchia mentre dormono sulla schiena, fornisce loro un ulteriore supporto.

 

Sintomi di una postura scorretta

Tra i sintomi di una postura scorretta troviamo:

Sintomi meno frequenti, ma possibili:

  • Gonfiore addominale;
  • Tachicardia, soprattutto nei soggetti molto emotivi

 

 Mal di schiena da postura rimedi

Il fisioterapista ha un ruolo estremamente importante nel trattamento del mal di schiena dovuto ad una postura errata.

Effettuerà prima una valutazione individuale e poi un piano di trattamento specifico per ogni persona e per ogni piano clinico.

Il piano di trattamento del mal di schiena, normalmente, prevede l’integrazione di:

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/mal-di-schiena-e-postura-cause-ed-esercizi/ 

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Paralisi di Bell: cos’è e rimedi

Paralisi di Bell: cos’è e rimedi

 

 

Un blocco improvviso della mimica del lato destro o sinistro del volto e con una ridotta capacità di movimento di questi tessuti. Sono queste le caratteristiche principale di chi viene colpito dalla paralisi di Bell, una condizione che al giorno d’oggi non si riesce a prevenire e non si cura con facilità.

La paralisi di Bell è una paralisi periferica del nervo facciale, che è il settimo degli undici nervi cranici, che colpisce soggetti adulti con maggiore prevalenza per il sesso maschile e quasi sempre in modo unilaterale. Solitamente si tratta di una paralisi periferica, poiché l’interessamento è distale rispetto al cervello.

 

 Quali sono i segni clinici di questa patologia?

I segni clinici della paralisi di Bell si sviluppano molto rapidamente, ed entro le 48 ore raggiungono il loro picco massimo che può variare da una lieve distorsione della mimica facciale a un vero e proprio distorsione del volto:

  • Fronte liscia
  • Bulbo oculare rivolto verso l’alto
  • Sensazione di intorpidimento e debolezza del lato colpito
  • Abbassamento della palpebra
  • Difficoltà e a volte impossibilità a chiudere l’occhio, questo causa una secchezza dell’occhio
  • Piega naso labiale piatta
  • Abbassamento della bocca (dal lato colpito)
  • Scialorrea: ampia produzione di saliva
  • Dolore locale, diffuso e difficile da localizzare. Comprende la regione dell’orecchio, della mascella e della mandibola.
  • Difficoltà a parlare
  • Difficoltà a mangiare e a bere
  • Alterazione del senso del gusto

 

La durata della patologia è molto soggettiva, oscilla dalle due settimane nei casi più fortunati fino ai 5 mesi per i più sfortunati. Ci sono alcuni casi in cui la paralisi può protrarsi anche oltre i 7 mesi.

 

Quali sono le cause della paralisi di Bell?

Ti sembrerà strano, eppure ad oggi non è stata ancora riconosciuta una causa ben precisa per questa patologia.

Quel che è certo è che spesso la paralisi di Bell è in concomitanza di un’infezione virale del Virus Herpes Simplex, il virus Herpes zoster (che provocano la varicella e il fuoco di Sant Antonio) e il virus Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi, conosciuta anche come malattia del bacio.

Sono stati riconosciuti altri fattori di rischio che possono facilitare l’instaurarsi della paralisi di questo nervo come:

  • Stati influenzali;
  • Ipertensione;
  • Patologie infettive all’orecchio;
  • Patologie di Lyme;
  • Rosolia 
  • Farmaci
  • Idiopatica
  • Diabete
  • Neoplasie: come, ad esempio, il tumore della ghiandola parotide Sarcoidosi Traumi al cranio o al volto.

 

Fisioterapia: quali sono i rimedi per la paralisi di Bell?

La fisioterapia per la paralisi di Bell spesso avviene in concomitanza a una copertura farmacologica di antivirali o di corticosteroidi. Si ritiene che i corticosteroidi abbiano un ruolo fondamentale nel limitare la progressione della malattia se presi entro i primi due giorni dall’esordio.

Infatti se dovessi ritenere di essere affetto da questa condizione, recati prima possibile dal medico di base o al pronto soccorso, ogni ora che passa potrebbe risultare vitale per il tuo recupero. È molto importante garantire una protezione della cornea a causa dell’incompleta chiusura dell’occhio. Per questa ragione è indicato dal medico un utilizzo costante della lacrima artificiale, della soluzione fisiologica isotonica, di gocce di metilcellulosa e di creme specifiche che hanno lo scopo di igienizzare l’occhio e di mantenerlo lubrificato.

Soprattutto durante il sonno o nell’esposizione all’aria aperta, si consiglia di portare una benda, o un cerotto che copra l’occhio, riducendone notevolmente il rischio di irritazione o di infezione.

 

 

L’approccio Kabat 

Nonostante sia un metodo ideato a metà del secolo scorso dal medico neurologo americano Herman Kabat, è ancora oggi molto utilizzato dai fisioterapisti per il trattamento di questa condizione. L’idea di questo approccio fisioterapico è scaturita a seguito dello studio e dell’osservazione dei movimenti degli atleti, che fece giungere Kabat alla conclusione che il movimento volontario è il risultato di un lavoro sinergico di più muscoli secondo delle traiettorie spirali o diagonali rispetto all’asse del corpo. Pensa ad esempio al movimento che esegue un giocatore di golf mentre colpisce la palla, al tiro di un calciatore, o alla schiacciata di un giocatore di pallavolo: sono tutte movimento spiraliformi!

Questo approccio utilizza degli “schemi base”, che sono dei movimenti spirali e diagonali, dove al massimo allungamento muscolare segue il massimo accorciamento. In questo modo, con il costante aiuto manuale e verbale del fisioterapista, si riesce a riabilitare la corretta funzione e sinergia muscolare.

Questo razionale è molto utilizzato nel recupero del movimento dei muscoli interessati dalla paralisi del nervo facciale. Il fisioterapista mediante delle stimolazioni manuali, aiuta il paziente a recuperare la mobilità della parte del volto interessata.

Nelle prime fasi la metodica è applicata con il paziente supino sul lettino in modo che possa avere il massimo del rilassamento, mentre successivamente il paziente lavora da seduto e difronte ad uno specchio in modo che possa avere il massimo dei feedback riguardo l’esecuzione del movimento.

Non è un percorso breve, nelle condizioni di paralisi importanti sono necessari mesi di riabilitazione, che risultano essere indispensabili per consentire al paziente di recuperare il massimo della funzionalità.

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/patologie/testa/paralisi-di-bell/ 

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Sindrome del Piriforme: cause e cura

Sindrome del Piriforme: cause e cura

La sindrome del piriforme è un insieme di segni e sintomi che interessano il muscolo piriforme e il nervo sciatico, nel suo punto di passaggio al di sotto di questo muscolo. Viene definita come sindrome mista poiché si possono generare sintomi sia di natura muscolare che neuropatica, da comprensione del nervo sciatico.

La sindrome del piriforme è più diffusa di quanto si pensa, in quanto spesso viene confusa con la lombosciatalgia, problematica ben diversa.

Quello che accade è che il muscolo piriforme, situato nella regione dei glutei, ha spasmi e provoca dolore ai glutei. Durante questi spasmi il muscolo piriforme può anche irritare il vicino nervo sciatico e causare dolore, intorpidimento e formicolio lungo la parte posteriore della gamba e nel piede (simile al dolore da lombosciatalgia). Proprio per questo “problema” viene chiamata “falsa sciatica”. La grande differenza, anche abbastanza intuitiva, sta nel fatto che la sindrome del piriforme non ha correlazioni con il tratto lombare.   

Generalmente non vi è alcun danno irreversibile, ma questo dipende anche da come il problema viene gestito dal paziente, poiché se si ignora il problema per troppo tempo si possono creare dei danni anche irreversibili.

 

Sintomi piriforme infiammato

I sintomi principali della sindrome del piriforme sono:

  • Dolore locale nella regione glutea: spesso avvertito come dolore “profondo” che tende a irradiarsi nella parte posteriore dell’arto inferiore, nei casi più gravi arriva fino al piede;
  • Formicolio: sia locale che irradiato;
  • Bruciore: sia locale che irradiato;
  • Aumento del dolore dopo una seduta prolungata;
  • Ridotto range di movimento dell’articolazione dell’anca.

Questi sintomi vengono evocati durante movimenti di rotazione dell’anca e posture statiche come mantenere le gambe accavallate.

 

Cause sindrome del piriforme

I dati statistici affermano che la sindrome del piriforme colpisce maggiormente il sesso femminile con un rapporto di 6:1 rispetto a quello maschile. 

Questo rapporto può essere spiegato dalla differente forma del bacino femminile che risulta più ampia rendendo più “lunga” la leva di lavoro del piriforme predisponendo per un suo sovraccarico.

Tra le più probabili cause e fattori di rischio si ritrovano: 

  • Trauma nella regione glutea (50% dei casi), come cadute che causano infiammazione dei tessuti molli, spasmi muscolari e conseguente compressione del nervo sciatico;
  • Trigger point miofasciali che spesso sono causati da traumi diretti, lesioni post-chirurgiche, patologie lombari e sacroiliache o da un uso eccessivo che lo possono portare al sovraccarico.
  • Movimenti improvvisi e violenti, postura mantenuta e ripetuta nel tempo che possa generare traumi al piriforme.
  • Interventi chirurgici, in regione addominale o al bacino, che possano generare aderenze connettivali in prossimità del piriforme.
  • Microtraumi ripetuti da un uso eccessivo del piriforme, come può accadere in lunghe camminate, corse su lunghe distanze o mediante compressione diretta. Un esempio di compressione diretta è noto come “neurite da portafoglio”, trauma ripetitivo causato dalla seduta prolungata su superfici dure
  • Disfunzioni posturali e di movimento dell’anca o del bacino che possano sovraccaricare il piriforme;  

 

Rimedi piriforme infiammato

La sindrome del piriforme spesso non ha bisogno di alcun trattamento. Riposare ed evitare le attività che scatenano i sintomi sono di solito i primi approcci da adottare.

Alcuni pazienti trovano sollievo alternando ghiaccio e calore sui glutei o sulle gambe, avvolgendo un impacco di ghiaccio in un asciugamano sottile in modo che non tocchi direttamente la pelle. Mantieni il ghiaccio per 15-20 minuti. Quindi utilizza un termoforo su un’impostazione bassa per circa lo stesso tempo. Provalo ogni poche ore per alleviare il dolore.

Anche gli antidolorifici da banco, come l’ibuprofene o il naprossene, possono aiutarti a sentirti meglio. Consulta sempre un medico.

Il dolore e l’intorpidimento associati alla sindrome del piriforme possono scomparire senza ulteriori trattamenti. In caso contrario, potresti trarre beneficio dalla fisioterapia. Imparerai vari allungamenti ed esercizi per migliorare la forza e la flessibilità del piriforme.

 

Fisioterapia per la sindrome del piriforme

La fisioterapia può intervenire nel trattamento della sindrome del piriforme grazie a:

  • Educazione del paziente
  • Terapia manuale
  • Terapia fisica
  • Esercizio terapeutico

Questi elementi vengono integrati in un piano terapeutico efficace per far si che il problema venga risolto sia nel breve che nel lungo periodo prevenendo così le possibili recidive.

La compressione ischemica è tra le tecniche manuali più utilizzate per trattare la contrattura del muscolo piriforme. Oltre a questa seguono numerosissime tecniche di trattamento del tessuto mio fasciale e tessuti molli.

Per attenuare il dolore è molto utile esporre la zona interessata a fonti di calore come la borsa dell’acqua calda che aiutano il muscolo a rilassarsi.

Gli esercizi sono importanti in quanto possono essere insegnati al paziente dal proprio fisioterapista ed eseguiti comodamente al domicilio come completamento del lavoro eseguito in studio. Per allviare il dolore può risultare utile allungare il muscolo piriforme nel seguente modo:

  1. Sdraiati in posizione supina su un tappetino piegando le ginocchia e appoggiando bene i piedi a terra. 
  2. Ora solleva una gamba e porta il piede sul ginocchio controlaterale. 
  3. Solleva da terra il piede della gamba che ancora poggiava sul tappetino, e mantieni la posizione per circa 10 secondi. 

In questo modo l’allungamento del muscolo può diminuire la sintomatologia dolorosa.

Un secondo esercizio che puoi effettuare è:

sederti su una sedia e portare il piede del lato interessato dal dolore sul ginocchio controlaterale, esercitando una piccola pressione sul ginocchio della gamba piegata in modo tale da aumentare l’allungamento del muscolo. Cerca di mantenere la posizione per 20 secondi.

Questi sono dei piccoli e utili consigli che puoi sfruttare nel caso in cui tu soffra di sindrome del piriforme. L’importante però è rivolgerti a un professionista che possa scegliere il piano terapeutico migliore per il tuo caso specifico.

 

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/patologie/anca/sindrome-del-piriforme/ 

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Dito a Scatto : cause e cura

Dito a Scatto : cause e cura

Quella che tutti conosciamo comunemente come “dito a scatto” in termini medici è una condizione che prende il nome di  “tenosinovite ” e riguarda le pulegge e i  tendini  della  mano, in particolare quelli deputati al movimento di flessione delle dita.

Cosa sono le pulegge?

Le pulegge sono dei “tunnel” fibrosi entro i quali scorrono i tendini delle dita della mano.

Cosa sono i tendini?

I tendini sono quella porzione di muscolo che unisce il ventre muscolare all’osso. I tendini flessori delle dita della mano originano tutti dal gomito, precisamente dall’epitroclea, che è una prominenza ossea situata nella parte laterale dell’estremità distale dell’omero.

Dal gomito, attraversando l’avambraccio, i muscoli epitrocleari arrivano fino alla mano e alle dita.

 

Quali sono i sintomi del dito a scatto?

Il sintomo più evidente di questa condizione è quello per cui è conosciuta la patologia, ossia lo “scatto”. A causa di un rigonfiamento in un punto specifico nella guaina tendinea della puleggia, il tendine ha sempre maggiore difficoltà a scorrere. Quando attraversa l’area ristretta, il tendine è schiacciato e questo produce dolore. Se questa condizione viene protratta, oltre al dolore il paziente noterà un vero e proprio impedimento meccanico allo scorrere del tendine che non trovando sufficiente spazio tenderà a bloccarsi per poi scorrere improvvisamente producendo un movimento “a scatto”.

SI verifica dunque un circolo vizioso per il quale l’infiammazione che ha prodotto l’ispessimento della guaina infiamma il tendine che trova difficoltà nello scorrimento all’interno di essa. In alcuni casi il tendine si blocca nel movimento di flessione e il paziente ha molta difficoltà a farlo tornare alla posizione di partenza.

Nei casi più avanzati è ben visibile la presenza di un nodulo in prossimità dell’ispessimento della puleggia del tendine. Il dolore è presente non solo al movimento ma anche alla palpazione, e in condizioni acute il paziente avverte sintomatologia algica anche con il dito a riposo.

 

Quando e perché viene il dito a scatto?

Le cause del dito a scatto sono ancora oggi molto dubbie, sicuramente sono noti fattori di rischio come:

  • Subire microtraumi ripetuti nel tempo;
  • Effettuare professioni in cui si eseguono lavori manuali per molte ore al giorno come il manovale, l’elettricista, il cuoco, il massaggiatore, pasticcere, idraulico, ma anche chi lavora molte ore al pc;
  • Presenza di patologie come: artrite reumatoide, artrite psoriasica, diabete, gotta ecc.;
  • Età superiore ai 30 anni.

 

Quali sono i rimedi per il dito a scatto?

L’obiettivo del processo di cura in questo caso è la riduzione/scomparsa del dolore e dell’ispessimento della puleggia. Ci sono due tipi di approccio per questa patologia:

  • terapia conservativa con metodi fisioterapici e farmaceutici;
  • terapia con la chirurgia mininvasiva.

Il tipo da approccio con il quale procedere dipende da caso a caso, ma è sempre consigliabile tentare un primo ciclo di fisioterapia, anche nei casi più gravi, poiché anche se non si riuscisse a far passare del tutto i sintomi sicuramente contribuirebbe ad un miglioramento della condizione clinica.

 

Come curare il dito a scatto senza intervento: la fisioterapia

Il ciclo fisioterapico per questa patologia è costituito dall’integrazione di tecniche di terapia manuale, mezzi fisici ad alta tecnologia, esercizi specifici e ortesi.

Le tecniche di terapia manuale come le mobilizzazioni in trazione, il massaggio e il trattamento di trigger point hanno lo scopo di ridurre la tensione e la rigidità dei tessuti, recuperando il più possibile la disfunzione di movimento che caratterizza questa condizione.

I mezzi fisici ad alta tecnologia hanno lo scopo di controllare l’infiammazione e ridurre il dolore mediante la stimolazione biologica del tessuto. I device più utilizzati per questa condizione sono:

  • Tecarterapia: la parola TECAR è Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo, si tratta di un dispositivo che emette onde elettromagnetiche ad alta frequenza, le quali si ipotizza che generino sul tessuto trattato tre tipi di stimoli biologici:

– chimico: una normalizzazione del potenziale di membrana, gli scambi cellulari tendono ad alterarsi in stati infiammatori;

– termico: per un richiamo di sangue che avviene nella regione trattata. Questo effetto consente un aumento del microcircolo e della temperatura tissutale locale. Considera che il calore profondo (endogeno) che si avverte nel trattamento, oltre che ad avere un impatto curativo è molto piacevole e rilassante, tanto che spesso alcuni pazienti si addormentano;

– meccanico: a seguito del trattamento risulta essere più semplice trattare e mobilizzare i tessuti.

  • Ipertermia: utilizza onde elettromagnetiche a una frequenza ben precisa. Come la tecar, anche l’ipertermia genera calore endogeno, dando però maggiore specificità al trattamento poiché il terapista può scegliere la profondità e la temperatura con cui stimolare il tessuto bersaglio. A differenza della tecar, l’ipertermia offre solo trattamenti statici e localizzati.
  • Ultrasuoni: come suggerisce il nome, gli ultrasuoni stimolano il tessuto mediante l’utilizzo di onde acustiche. Si tratta di terapie localizzate in punti specifici.
  • Laser ad alta potenza: questo dispositivo stimola il tessuto mediante l’utilizzo di onde luminose ad alta potenza. Il laser, generando un raggio luminoso di circa mezzo centimetro di diametro è altamente specifico e allo stesso tempo non è indicato per trattare vaste aree.
  • Gli esercizi specifici hanno l’obbiettivo di migliorare l’equilibrio di forza muscolare, alcuni esercizi riguardano l’allungamento dei tessuti mentre altri riguardano il rinforzo di alcuni gruppi muscolare che risultano troppo deboli. Di solito il fisioterapista consiglia al paziente anche delle posizioni specifiche da adottare a casa e dei comportamenti da evitare, che potrebbero esacerbare la propria condizione.
  • Le ortesi più utilizzate in questi casi sono dei tutori, più o meno rigidi, che hanno lo scopo di ridurre il carico sul tendine infiammato.

Normalmente per questo tipo di condizione si prescrivono cicli da dieci sedute a cadenza bisettimanale, in alcuni casi i fisioterapisti consigliano al paziente di effettuare tre sedute a settimana per le prime due settimane (in modo da dare uno stimolo importante al tendine infiammato) e poi procedere con una frequenza bisettimanale.

 

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